Protesi di caviglia: tempi e numeri del decorso post-operatorio

federico usuelli protesi caviglia

In questo articolo parliamo in dettaglio di:

La caviglia è l’articolazione più congruente di tutto il corpo.

Questo vuol dire che la tibia e l’astragalo, le due ossa che la compongono, sono perfettamente congruenti tra di loro come un puzzle perfetto.

La sua funzione è quella di sostenere, quando ci troviamo in posizione eretta, la maggior parte del peso dell’organismo e di permettere al piede i movimenti di flessione ed estensione plantare.

Non si può però pensare alla caviglia come ad un’articolazione a sé: questa è strettamente correlata al piede sia per la sua funzione che per la sua anatomia.

L’artrosi, in generale, è una malattia degenerativa che colpisce le articolazioni, molto diffusa nella popolazione, specialmente in chi ha superato i 60 anni di età.

Quando parliamo di queste tipologie di pazienti pensiamo tipicamente al paziente anziano, che è andato incontro, a causa del consumo dell’articolazione, ad un’artrosi di anca e ginocchio.

Si tratta come accennavo di un consumo articolare, consumo che riguarda principalmente la cartilagine che ricopre la superficie delle articolazioni, la quale viene sostituita per un processo rigenerativo errato, da un tessuto più duro, simile a quello che compone le ossa.

Torna in Cima

I sintomi dell’artrosi di caviglia

La mancanza della cartilagine articolare crea quindi un aumento dell’attrito fra le superfici articolari, dando luogo ai classici sintomi che caratterizzano l’artrosi:

  1. dolore;
  2. limitazione del movimento;
  3. rigidità e tumefazione;
  4. deformità.

La natura degenerativa dell’artrosi non consente la remissione della malattia senza un trattamento adeguato. Se non trattata, l’artrosi proseguirà nel suo processo degenerativo, con la possibilità di un aggravamento dei sintomi e della deformità.

L’artrosi è un processo degenerativo che può incidere negativamente e pesantemente sulla qualità della vita di chi ne è affetto, rendendo molto doloroso o addirittura impossibile al paziente svolgere azioni semplici come camminare e stare in piedi.

È un aspetto importante della nostra ricerca, che serve per motivare la richiesta di fondi dedicati, ma che ha anche l’obiettivo non secondario di aiutare i pazienti nella loro vita pratica.

L’esigenza, per esempio, di non portare scarpe anti-infortunistiche o di non mobilizzare grandi pesi sul lavoro o, più semplicemente, di accedere al pass per poter parcheggiare in aree dedicate e ridurre i tratti da fare a piedi sono aspetti ovvi, che tuttavia, hanno bisogno di essere motivati scientificamente per diventare diritti acquisiti.

Gli autori canadesi hanno misurato con delle scale dedicate il livello di disabilità dei pazienti, ottenendo dei valori pari a quelli di pazienti affetti da insufficienza renale cronica.

Siamo di fronte ad una patologia gravemente invalidante, che per di più, classicamente colpisce persone nel pieno della loro vita lavorativa.

Torna in Cima

Che cos’è l’artrosi di caviglia?

La caviglia è un’articolazione perfettamente congruente e proprio in virtù di questa congruenza è per sua natura meno predisposta all’artrosi al contrario delle articolazioni di anca e ginocchio.

Nella grande maggioranza dei casi, stimato in letteratura come il 75%, l’artrosi di caviglia deriva quindi da un precedente trauma, come una frattura o eventi distorsivi reiterati.

Questo significa d’altra parte che, al contrario di quanto capita per altre sedi, l’età dei pazienti che soffrono di artrosi di caviglia è spesso minore.

Tipicamente un paziente afflitto da artrosi di caviglia è un paziente che ha un’età compresa tra i 25 e 50 anni, che ha subito nella sua vita un trauma ad alto impatto.

Si tratta per la maggior parte dei casi di incidenti stradali, ad alto impatto, piuttosto diffusi per esempio tra i motociclisti.

Torna in Cima

Protesi di caviglia: il “gold standard” per la cura dell’artrosi

intervento artrosi caviglia

Proprio la natura post-traumatica dell’artrosi di caviglia è il motivo per il quale il trattamento conservativo è poco efficace nella risoluzione di questa patologia.

Infatti, la progressione dell’artrosi e la conseguente deformità articolare, possono essere piuttosto rapide proprio a causa della natura traumatica dell’artrosi stessa.

La chirurgia per questi pazienti rimane spesso l’unica opzione plausibile.

La protesi di caviglia viene oggigiorno riconosciuta, a livello scientifico internazionale, come il gold standard per il trattamento dell’artrosi di caviglia.

Preservare il movimento diventa fondamentale, non solo per una fase più dinamica e naturale del passo, ma anche per non sovraccaricare le articolazioni vicine come la sottoastragalica o il ginocchio.

Ci siamo sempre soffermati molto sulle caratteristiche dell’artrosi di caviglia, sulle possibilità terapeutiche e sul cosa ci si possa aspettare dopo un impianto di protesi di caviglia.

In questo approfondimento vogliamo però trattare nel dettaglio qual è il percorso che il paziente deve fare, dalla visita specialistica fino all’intervento chirurgico, per una gestione più serena dei tempi in preparazione dell’intervento, ma anche del periodo post-operatorio.

Torna in Cima

Potrebbe Interessarti: Protesi caviglia: 12 informazioni importanti per il paziente

Protesi di caviglia: cosa fare prima dell’intervento

Il periodo che precede l’intervento chirurgico può prevedere delle variazioni a seconda della provenienza del paziente. Per il paziente lombardo si può prevedere un pre-ricovero in cui l’anestesista effettuerà una visita per la valutazione pre-operatoria.

Nel caso di un paziente extra-regione Lombardia, la valutazione con l’anestesista viene eseguito il giorno prima dell’intervento, motivo per cui i pazienti provenienti al di fuori della regione Lombardia vengono ricoverati il giorno prima in ospedale.

Questo avviene inoltre, per poter effettuare i controlli pre operatori:

  • esami ematici;
  • rx torace;
  • ECG;
  • le radiografie necessarie al chirurgo.

Questo sistema ci permette di essere informati sulle condizioni del paziente che verrà sottoposto all’intervento chirurgico, preparando entrambi, medico e paziente, ad affrontare l’intervento nelle condizioni più ideale possibile.

Torna in Cima

Protesi di caviglia: la dimissione dopo l’intervento

L’intervento di impianto della protesi di caviglia senza la presenza di tempi accessori dura circa un’ora.

Le variazioni, in quanto a durata, possono dipendere dalla complessità del caso da trattare e dai tempi accessori da aggiungere all’intervento principale di protesi di caviglia.

L’anestesia effettuata è un’anestesia spinale che addormenta la gamba. Il paziente può richiedere ovviamente di essere sedato per dormire durante l’intervento.

Al termine dell’intervento il paziente lascerà la sala operatoria con un gesso che verrà eseguito con il piede a 90 gradi, fondamentale per evitare l’equinismo della caviglia stessa (atteggiamento in punta di piedi).

Una volta giunto in reparto gli infermieri si occuperanno del periodo di degenza affiancati sempre da un medico della mia équipe. Il gesso verrà fenestrato, per poter eseguire le medicazioni.

La degenza ospedaliera a seguito dell’intervento è importante per effettuare un corretto controllo del dolore, valutare la ferita chirurgica ed effettuare le prime medicazioni che il paziente dovrà osservare in modo da essere in grado di proseguirle autonomamente a casa.

Le dimissioni avvengono di norma dopo 2 notti; in alcuni pazienti che devono affrontare dei viaggi di ritorno verso casa più lunghi, magari prendendo un aereo, si può pensare se necessario di prolungare di una notte il ricovero.

Ad ogni modo questo aspetto non deve essere vissuto come un’ansia dal paziente in quanto verrà concordato insieme, il primo giorno post operatorio.

Torna in Cima

Il primo controllo

La prima visita di controllo avviene a circa quindici giorni dall’intervento. Durante questa visita, viene effettuato il controllo della ferita chirurgica e vengono rimossi i punti di sutura.

A 15 giorni dall’intervento spesso, ma non di prassi, viene concesso il carico sullo stivaletto gessato. Munitevi di una scarpa coprigesso!

Torna in Cima

I controlli successivi

Dopo 4 settimane, si effettua la seconda visita di controllo, durante la quale la caviglia operata viene definitivamente liberata dal gesso che viene sostituito da un tutore walker sbloccato , cioè articolato, in modo da poter muovere la caviglia.

In questa occasione verranno richieste le radiografie da effettuare per il controllo successivo e che dovranno essere eseguite tassativamente in carico, appoggiando cioè il piede a terra.

Si tratta di RX del piede e della caviglia del lato operato in carico e della proiezione di Saltzman a 20 gradi.

Una quindicina di giorni più tardi, a circa 6 settimane dall’intervento, si effettua la terza visita di controllo, per concedere il carico assoluto senza il tutore che viene quindi abbandonato.

In questa occasione verranno anche visionate le lastre prescritte la volta precedente.

Torna in Cima

La ripresa delle attività e la completa guarigione

Il paziente, grazie al carico concesso dopo i primi 15 giorni è autonomo entro i 15-30 giorni dall’intervento, tuttavia recupera la piena autosufficienza in tutte le attività quotidiane entro due mesi dalla procedura chirurgica. Teniamo conto però che si tratta di un percorso e che, rimosso il tutore, non si è ancora guariti.

Spiego sempre ai miei pazienti durante la prima visita che si è davvero contenti del risultato ottenuto, a 6-8 mesi dall’intervento, ma che questo non significhi 6-8 mesi di dolori, sedia a rotelle o stampelle.

A due mesi dall’intervento, infatti, è concessa la ripresa della guida e delle normali abitudini quotidiane. Ho bisogno però che i miei pazienti comprendano che, vista l’importanza dell’intervento, il recupero post-operatorio deve essere graduale, ma continuo, senza che questo venga visto come fonte di preoccupazione o di demoralizzazione, ma al contrario felici dei miglioramenti giornalieri ottenuti.

Il paziente verrà seguito da me e dalla mia équipe in ogni fase del percorso post-operatorio e riabilitativo per essere certi del corretto recupero. Questa fase è indubbiamente la fase in cui il paziente deve impegnarsi al massimo per ottenere il miglior risultato possibile dal trattamento chirurgico effettuato.

Torna in Cima

A domanda, risposta

Passo 1 di 3