Piede piatto nel bambino: facciamo chiarezza sull’uso dei plantari

piede piatto bambino

Gli archi plantari sono strutture articolari formate dalle ossa del piede [tarsi e metatarsi] e dai legamenti e dai tendini che ne sostengono la struttura. Sono tre per ogni piede: arco trasverso, arco longitudinale mediale e arco longitudinale laterale. Il piede piatto o piede pronato è una condizione nella quale gli archi plantari non hanno la giusta curvatura ma risultano schiacciati verso il terreno.

Non sempre il piede piatto è una condizione patologica; si considera in questo modo solamente quando è fonte di dolore o causa problemi alle altre articolazioni degli arti inferiori.
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Il piede piatto nel bambino

Quando si parla di piede piatto nei bambini o sindrome pronatoria, per prima cosa è doveroso fare una piccola premessa: si tratta di una condizione assolutamente normale, che fa parte del ciclo della crescita.

Pertanto, il piede piatto non è considerabile una patologia almeno fino agli 8-10 anni di età. La conformazione del piede è infatti soggetta a cambiamenti nel corso dello sviluppo fisiologico e raggiunge la sua forma definitiva solo attorno ai 10 anni.
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La diagnosi


I difetti del piede sono piuttosto facili da riscontrare, persino senza utilizzare alcuno strumento particolare. È sufficiente osservare la forma delle impronte che il bambino lascia dietro di sé, per esempio quando cammina scalzo sulla sabbia o comunque su una superficie che ne evidenzia la forma. Infatti, la diversa forma dell’orma del piede è il segno più evidente della sua conformazione.

Benchè questa sia una valutazione incompleta e poco scientifica, chi ha il piede piatto lascia un’impronta della pianta del piede più larga proprio nella parte centrale: questo è il tipico segno dell’appiattimento della volta plantare. In una condizione fisiologica, la parte centrale dell’impronta dovrebbe essere più assottigliata, proprio per il fatto che la volta plantare, in un piede normale, rimane sollevata e non schiacciata sotto il peso corporeo.

Per diagnosticare una condizione patologica vera e propria quando ve ne sia il sospetto, è necessario valutare l’alterazione morfologica del piede attraverso una radiografia eseguita in carico [stando in piedi], che permetta di constatare la reale posizione delle ossa del piede ed analizzare eventuali alterazioni, per formulare una strategia terapeutica che tenga conto di tutti i fattori. Nella maggior parte dei casi, l’intervento chirurgico non è comunque consigliabile prima degli 8 anni, ma assolutamente da eseguire prima del completamento dello sviluppo osseo che avviene intorno ai 14 anni di età.
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Plantare e piede piatto: non ha finalità correttive

Un altro “mito” da sfatare è quello del plantare.
Nella grande maggioranza dei pazienti, con l’eccezione di alcuni casi molto specifici, ritengo onestamente che sia inutile, utilizzare plantare o scarpe ortopediche nella quotidianità.

È importante chiarire che questi strumenti non hanno alcuna finalità correttiva di un simile problema. Nella grande maggioranza dei pazienti sono adatti solamente ad alleviare i sintomi della condizione patologica. Per questo motivo, il loro utilizzo dovrebbe essere limitato a questo scopo.

Ai miei piccoli pazienti faccio spesso questo esempio: non bisogna pensare che il plantare sia come un apparecchio che utilizzo per raddrizzare i denti. Quello si, ha finalità correttiva. Lo porto per una correzione che mi aspetto sia definitiva e che duri nel tempo.

Al contrario il plantare ha un’azione di sostegno: finché lo indosso la volta del piede viene sostenuta e ne ho un beneficio, il tendine tibiale posteriore deve lavorare meno e smette di far male. Tolto il plantare la volta mediale si ritrova senza sostegno e torna a cedere [pronare] verso l’interno, il tendine tibiale posteriore si ritrova a dover faticare per contrastare tale pronazione e riprende a far male.

Per il resto, l’unica cosa che posso suggerire, è di evitare di imporre al proprio bimbo di utilizzare scarpe di taglie più grandi o più piccole, nella speranza di indurre un cambiamento nel piede, cosi come sconsiglio di invertire l’uso delle scarpe [utilizzare la scarpa destra per la sinistra e viceversa], soluzioni davvero inadatte e inutili che troppe volte ho sentito e visto suggerire.

Il plantare sì allevia il dolore nel paziente sintomatico [per esempio, durante l’attività sportiva]

L’unica situazione nella quale ha senso l’utilizzo dei plantari ortopedici nei piccoli pazienti è quella in cui il piede soffre per via dell’attività che si sta svolgendo.

Un esempio è sicuramente quello della pratica sportiva: non è bene che per colpa dei sintomi del piede piatto i bambini rinuncino all’attività sportiva che è indispensabile per il loro corretto sviluppo fisico, motorio e sociale.

In questo caso, l’utilizzo del plantare con lo scopo di alleviare dolore e disagio è certamente consigliabile, per evitare che sperimentino sintomi dolorosi o difficoltà di movimento.
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Intervento chirurgico piede piatto nel bambino

Quando lo specialista valutato il caso specifico, ritiene che la situazione richieda un intervento chirurgico vero e proprio, assieme ai genitori del paziente decide quale sia la strategia più adeguata per risolvere il suo problema. Di solito l’intervento non è indicato prima dei 7-8 anni di età, come precedentemente spiegato.

Ci sono due tecniche adatte alla correzione del piede piatto nei bambini, entrambe molto utilizzate in Italia.

  • La procedura calcaneo-stop prevede l’inserimento di una vite impiantabile nel calcagno, che agisce sia in modo passivo (meccanico) che in maniera attiva, generando uno stimolo propriocettivo a livello del seno del tarso, un’area del piede ricca di recettori. Nella maggior parte dei casi l’intervento prevede la rimozione della vite inserita.
  • La tecnica di endortesi seno-tarsica, che personalmente preferisco adottare per la sua mini-invasivita’, prevede l’impianto di una piccola protesi (simile ad una piccola vite del diametro di 8-9 mm) proprio nella cavità naturale del seno del tarso, quindi senza la necessità di impiantare niente nell’osso. Ha il compito di plasmare la crescita residua del piede ed è quindi di massima efficacia in età leggermente inferiori. Raramente queste protesine vengono rimosse [10% dei casi].

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Recupero post-operatorio

La fase di recupero dura solitamente un paio di settimane, durante le quali il giovane paziente deve indossare dei particolari stivaletti sopra ai quali potrà e dovrà camminare.

Trascorsi questi primi 15 giorni, l’unica limitazione cui dovrà andare incontro sarà quella della pratica sportiva vera e propria [salti, corsa e cambi di direzione bruschi] che potrà riprendere circa 90 giorni dopo l’intervento.
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A domanda, risposta

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