Calcio a 50 anni, quali rischi per le caviglie?

calciatore-50-anni-pericoli-caviglia-min

La passione di un cinquantenne per il calcio.
Sono un “giovane” di 53 anni, appassionato, anzi direi “malato di calcio”.

Il mio “quadro”

Sono abbastanza in forma fisicamente, mi controllo nell’alimentazione, mi alleno nel poco tempo che riesco a ritagliarmi corricchiando e facendo ginnastica con un personal trainer dedicato. Ho praticato il mio sport preferito a livello agonistico nelle serie minori fino a trentacinque anni poi, gli impegni di lavoro e familiari, mi hanno praticamente obbligato a soprassedere.

Il calcio, una passione!

Perché amo il “calcio”in questo modo sviscerato mi chiedono tutti?
La risposta è che non sarà certo uno sport elitario come il golf o come il tennis.
Il calcio è sicuramente plebeo. Oggi l’immagine che dà in televisione o negli spot pubblicitari è diversa. Tuttavia, il calcio è uno sport per tutti, come il ciclismo, soprattutto per un uomo del mio tempo, bimbo nel periodo del boom economico. Una maglietta, dei pantaloncini e dei calzettoni erano sufficienti per farti sentire parte di una squadra: è questo che ci ha fatto sognare da piccolini nei cortili di ogni paese, nel mondo. Gioie e dolori ,vittorie e sconfitte vengono decantate insieme a persone con cui hai diviso allenamenti, partite, pre-partite e post-partite, persone con cui hai fatto gruppo, hai instaurato rapporti di amicizia indipendentemente dalla estrazione sociale, dal colore della pelle o dal livello culturale.
L’emotività però non è tutto; mi spiego meglio. È uno sport dove la forza fisica è importante ma non predominante perché la tecnica è ancora più determinante. In quale altro sport un uomo così minuto come Messi potrebbe esprimersi ai massimi livelli?
Il contatto fisico, infine, regala il giusto ruolo a grinta e coraggio, senza esasperarlo come in altri sport decisamente più violenti, come football americano e hockey.

I problemi che ho riscontrato

Da un po’ di tempo e nonostante tutto questo amore, sono tentato di abbandonare questo sport. Ho adorato calciatori come Stanley Matthews: ha giocato fino a 50 anni e 5 giorni onorato addirittura con il titolo di Baronetto. Ryan Giggs (nel Manchester United fino a 41 anni), Paolo Maldini (nel grande Milan che ha vinto tutto fino a 41 anni), il non famoso Andrea Pierobon (portiere del Cittadella fino a 46 anni),il più noto Peter Shilton (portiere inglese fino a 48 anni con il record di presenze nella nazionale inglese 125): sono tutti eroi a “lungo termine”.
Il professionismo è diverso dalla mia quotidianità e da quella dei miei amici. Non si tratta solo di ricavarsi il tempo per un “partitella”, ma di continuare a mantenersi in forma e di cercare di ridurre i rischi di infortunio. Il nostro lavoro è un altro e non può venire sacrificato ad una passione! Il numero di amici (più o meno della mia età) con cui gioco a calcetto si riduce progressivamente, proprio perché falcidiato da un numero sempre più crescente di infortuni.
I campi sintetici non aiutano. I piedi si bloccano repentinamente nei rapidi cambi di direzione ed i traumi distorsivi, i “pestoni”, gli schiacciamenti e le contusioni sono i problemi minori che si devono affrontare.

I consigli dello Specialista per le tue caviglie ed i tuoi piedi.

Il trauma distorsivo è all’ordine del giorno. È un problema, ma spesso diventa un problema più grande quando viene sottovalutato o non completamente riabilitato.
Un trauma distorsivo può essere insidioso anche quando non si traduce in lesioni organiche importanti. Infatti, dopo un trauma, la caviglia spesso perde la propria propriocettività. Significa che gli infiniti recettori che noi abbiamo per controllare questa articolazione possono “spegnersi” o funzionare in base a parametri scorretti. È come se la nostra caviglia da quel momento cominciasse a lavorare “ad occhi chiusi” senza più rendersi conto di buche ed asperità del terreno. A questo punto la caviglia diventa un’articolazione a rischio di lesioni legamentose, che ulteriormente possono compromettere la stabilità e rendere più probabile un nuovo trauma distorsivo.
La parola d’ordine, pertanto, dopo un primo trauma distorsivo deve essere: rieducazione!

Rieducazione della caviglia

Non significa semplice attività di recupero del movimento, ma rieducazione propriocettiva.
In poche parole è sinonimo di ripristinare la funzione dei propri recettori; “riaprire” gli occhi, stimolando l’articolazione su superfici irregolari, tavolette instabili e rieducare muscoli e tendini tramite specifiche attività di stretching.

Cosa fare nel caso di traumi continui

Se, tuttavia, i traumi distorsivi si susseguono, è importante non limitarsi a bendare le caviglie. In questi casi è fondamentale considerare che la rieducazione propriocettiva non basti più e la diagnosi debba andare un passo oltre. Mediante una corretta diagnosi clinica ed opportune indagini di imaging (RMN) è possibile studiare eventuali lesioni legamentose, che in presenza di instabilità, sono da trattare chirurgicamente.

La tecnica mini-invasiva

Recentemente abbiamo presentato una tecnica completamente mini-invasiva che, con solo 4 piccolissime mini-incisioni, rende possibile una ricostruzione anatomica dei legamenti esterni senza immobilizzazioni e con carico immediato.

I tempi di recupero con la tecnica mini-invasiva

Il paziente torna alla propria attività lavorativa, purché sedentaria, entro 3 settimane, ad attività sportiva a basso impatto entro 3 mesi, ad elevato impatto a 6 mesi.
Ripetuti traumi distorsivi, tuttavia, possono indurre anche lesioni cartilaginee. È necessario, in questo caso non sottovalutarle ed eventualmente curarle.

Le terapie fisiche

Lesioni acute possono essere curate con terapie fisiche quali magnetoterapia, terapie fisiche ad elettrodi capacitivi e resistivi (tipo Tecarterapia). L’obiettivo è ridurre l’edema (ossia il sanguinamento) osseo perilesionale e favorire una guarigione spontanea.
In caso le terapie fisiche non siano sufficienti è bene studiare le dimensioni della lesione mediante studio TAC e RMN (meglio se combinate) e previo valutazione clinica programmare una ricostruzione biologica della lesione. L’obiettivo in questo caso è di ridurre la sintomatologia dolorosa, ma anche di ridurre il rischio di artrosi post-traumatica conseguente al grave danno cartilagineo.

Le tecniche moderne

Esistono tecniche per rigenerare la cartilagine che ai tempi di Van Basten e Batistuta non esistevano. Questo non significa che i due campioni avrebbero calcato i campi più a lungo, non necessariamente. È probabile, però, che curati con tecniche all’avanguardia di oggi, questi due campioni non avrebbero sviluppato artrosi di caviglia e la necessità di interventi più invasivi (artrodesi di caviglia nel caso di Van Basten).
Quindi, lo “sportivo della domenica” di fronte ad una lesione cartilaginea deve considerare che il primo obiettivo della cura è quello di evitare la progressione del danno artrosico.

La terapia chirurgica

In caso di indicazione chirurgica, sono generalmente previsti due giorni di ricovero, 30 giorni di scarico senza appoggiare il peso del corpo e poi una graduale ripresa delle normali abitudini con ripresa dell’attività sportiva a basso impatto a circa 4 mesi.
Esistono ovviamente tecniche artroscopiche (ossia che prevedono l’esecuzione di due solo piccoli “buchi” invece della classica incisione chirurgica) per eseguire questo tipo di ricostruzioni. Questo riduce l’invasività ed il rischio di complicanze.

Conclusioni

Il messaggio principale,quindi, è quello di non sottovalutare anche i piccoli guai muscolari o le prime distorsioni. Non bisogna aspettare di avere una frattura del malleolo peroneale (come Totti prima del mondiale in Germania) o una frattura del pilone tibiale (come a Montolivo prima del mondiale in Brasile) per ritenersi infortunati.
La prevenzione dei grandi infortuni nasce dalla diagnosi e dalla cura dei piccoli traumi distorsivi.

A domanda, risposta

Passo 1 di 3