Il mio intervento allo Zimmer Biomet Academy Foot & Ankle Training

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Train the trainer.

Un meeting inusuale ed entusiasmante quello di «Zimmer Biomet Academy Foot & Ankle Training», ma per comprenderlo è bene descrivere la vita di un chirurgo e la vita di uno specialist.

Chi è un chirurgo ortopedico?

Un chirurgo ortopedico è un uomo che ha studiato Medicina: sono 6 lunghi anni, fatti di gioie, ma anche di incertezze e sacrifici.
Poi ci sono 5 anni di Specialità, che dovrebbero essere dedicati alla formazione.
Spesso però, il giovane medico si sente sfruttato, utilizzato e poco considerato. I più fortunati, come è successo a me, fanno una o più esperienze all’estero in centri di riferimento per acquisire delle conoscenze e della capacità in più. Indubbiamente, così è tutto più affascinante ma, comunque, lontananza, condizioni economiche precarie, futuro incerto sono realtà con cui confrontarsi.
Il percorso è lungo e faticoso ed è giusto ricordarlo per capire la persona che abbiamo davanti: un uomo che si alza presto al mattino, che spesso è già in sala operatoria alle 7, quando per tante persone la mattina è appena cominciata.
Un chirurgo è una persona che quando finisce di operare, indipendentemente dal fatto che sia stanco oppure no, che sia soddisfatto di se stesso o –  al contrario – lo  sia un po’ meno, insomma, indipendentemente dalle proprie emozioni, ha già delle persone fuori davanti alla porta del proprio ambulatorio che lo stanno aspettando.
Sono pazienti carichi di aspettative e che si aspettano di uscire da quell’appuntamento, magari che attendono da tempo, con delle risposte.
Legittimo: è il sale della mia vita.
Si salta il pranzo e ci si dedica a loro fino a sera, spesso tarda sera. È una vita bellissima, ma frenetica. A questo poi si aggiungono incontri, riunioni in ospedale di carattere amministrativo e scientifico. Tanti di noi hanno mogli, mariti, figli che elemosinano un po’ di tempo in mezzo a questi continui impegni. Di solito, i nostri cari hanno capito che la vita del medico è una sorta di missione per tutta la sua famiglia, ma giustamente anche loro vorrebbero un po’ del nostro tempo.
Noi, che per gli altri siamo medici, per loro siamo un papà, una mamma, una moglie, un marito, un figlio.
Ecco noi Medici quando siamo in sala operatoria mettiamo da parte tutto questo e ci isoliamo.

Un parallelo con la vita sportiva

In questi giorni si stanno giocando a New York gli US Open e per me, che da bimbo sognavo di fare il tennista, l’analogia viene semplice. La nostra sala operatoria è, per certi versi, simile alla partita di un tennista. Una volta che tutto è pronto, si pensa uno dopo l’altro ai passaggi successivi, senza più pensare al “prima”, senza recriminare. Punto dopo punto, passaggio dopo passaggio. Non ci si deve guardare indietro, ma solo avanti.
E perché questo avvenga in modo fluido, tutto deve essere perfetto: la temperatura in sala operatoria, i ferri sul campo, gli strumentari, tutto deve avere una sua logica e precisa consequenzialità.
Da solo è impossibile. Esistono infatti due diversi tipi di angeli custodi: gli infermieri e gli specialist.

Gli infermieri

Gli infermieri sono costantemente sotto pressione e spesso sotto il nostro giudizio.
Talvolta, la nostra ansia di perfezione condiziona anche loro. Sopportano davvero tanto, perché in realtà loro fanno due lavori: gli angeli custodi del chirurgo e gli angeli custodi del paziente, un compito davvero improbo.
Ecco perché è nata, negli anni, un’altra figura: quella dello specialist.

Lo specialist

Lo specialist è una figura professionale che ha avuto una profonda evoluzione negli anni.
È nato come un esperto di un particolare intervento, inviato dall’azienda produttrice di una protesi o di un particolare strumento come supporto al chirurgo. Storicamente è stato sempre un ex-ferrista, con un’esperienza, acquisita negli anni, tale da poter sempre esprimere un’opinione o dare un consiglio vincente durante un intervento. Oggi, uno specialist può ancora essere un ex-ferrista, sempre più spesso però è un ingegnere biomedico. In ogni caso le sue competenze si sono ampliate negli anni notevolmente.
Oggi è l’anello di congiunzione tra azienda e chirurgo e, in un’epoca di grande evoluzione tecnologica, è fondamentale.
Lo specialist di successo gode della fiducia del chirurgo, ha infatti la completa conoscenza delle protesi o degli strumenti che rappresenta e ha visto il maggior numero di interventi possibile, eseguito dal maggior numero di chirurghi diversi. Questo non deve essere confuso con l’evoluzione scientifica, che ha canali diversi.
Infatti, nei meeting o tramite le riviste scientifiche, i chirurghi comunicano tra loro i propri risultati e permettono l’evoluzione scientifica.

Il ruolo dello specialist, invece, è più legato alla crescita ed al miglioramento del “gesto tecnico” del chirurgo, data la sua considerevole ed irripetibile esperienza su un certo tipo di intervento.
Gli interventi ortopedici, infatti, richiedono strumentari sempre più importanti, considerevolmente difficili da gestire o anche solo da “tenere in ordine”.
Lo “specialist” ha questo grande compito logistico.
Talvolta, predispone ogni cosa al meglio anche giorni prima di un intervento oltre ad assistere durante l’intervento; mette poi tutto in ordine alla fine dell’operazione e riparte per un altro ospedale, un altro chirurgo ed un nuovo intervento.
Una vita fatta di lunghe ore in macchina, cene e notti in hotel lontani dai propri cari, una vita fatta di sacrifici per permettere a me, chirurgo, di lavorare al meglio.

Meeting su artrosi di caviglia: protesi di caviglia e artrodesi

Il meeting di oggi «Zimmer Biomet Academy Foot & Ankle Training» mi ha visto incontrare specialist provenienti da tutta Europa, 20 paesi diversi.
L’obiettivo del meeting è stato quello di condividere le acquisizioni del mio gruppo in termini di artrosi di caviglia.
La prima cosa è ovviamente quella di spiegare a loro perché è importante preservare il movimento, saranno poi loro a trasferire il messaggio ai loro chirurghi di riferimento.

Il movimento va preservato perché è vita.
— Still —

Questa è una citazione di un osteopata, non di un chirurgo.
Davvero singolare come esperienze diverse arrivino ad acquisizioni comuni: il movimento è il fondamento di una vita sana per fisioterapista, chiropratico, osteopata, chirurgo.
È un messaggio più forte delle frontiere imposte da dottrine e discipline diverse.
Abbiamo parlato di studi che motivavano questo principio, sono studi che analizzano come cammina il paziente con delle artrodesi.
Un’artrodesi è un procedura chirurgica che prevede la fusione di un’articolazione, cancellandone il movimento.
Storicamente, per anni, è stata l’unica soluzione chirurgica per i pazienti affetti da artrosi di caviglia.
Oggi esiste la “chirurgia che preserva il movimento”.
Questo tipo di chirurgia è riassumibili in 2 diversi tipi di chirurgia:

  1. chirurgia che preserva l’articolazione;
  2. chirurgia che sostituisce l’articolazione.

Il primo è un tema assolutamente nuovo sulla caviglia e si fonda sul principio del riallineamento associato alla ricostruzione cartilaginea.
Nell’artrosi di caviglia, infatti, il danno cartilagineo si associa spessissimo a deformità.
Recenti acquisizione hanno mostrato come procedure biologiche di rigenerazione cartilaginea associata a delle osteotomie [tecniche chirurgiche per correggere deformità], diano ottimi risultati senza necessità di sostituire l’articolazione ma, al contrario, preservando l’articolazione con cui il paziente è nato.
Il secondo è ovviamente il tema della protesi di caviglia: si sostituisce l’articolazione, quando non è più riparabile.
In questi casi la prima cosa fondamentale è la comunicazione con il paziente.
Spesso, infatti, il paziente con artrosi di caviglia ha sviluppato questa patologia in seguito ad un trauma importante. Altrettanto spesso ha una caviglia contro-laterale sana!
Una protesi non funzionerà mai cosi bene come una caviglia sana, ma indubbiamente meglio di un’articolazione artrosica.
Una volta comunicato accuratamente questo aspetto al paziente sono fondamentali delle conoscenze tecniche.

Approccio anteriore o laterale

Oggi è infatti possibile impiantare una protesi con un approccio (incisione) anteriore o con un approccio laterale. Contrariamente a quanto si pensi, l’approccio laterale offre un ottimo controllo di tutti i piani delle deformità e permette di ridurre al minimo le dimensioni dell’impianto.
Anche un neofita, guardando una radiografia, può comprendere quanto questa protesi impiantata con approccio laterale assomigli ad una caviglia sana, con notevoli risultati funzionali.
Ovviamente questa scelta chirurgica richiede una grande attenzione e delle capacità tecniche ben precise da parte del chirurgo, che deve essere consigliato dallo “specialist” nei migliore dei modi.
Ecco l’importanza del meeting di oggi.
Ricordiamo, infine, che l’artrodesi non è assolutamente un intervento desueto e che conserva dele indicazioni.
Esistono, infatti, casi in cui è necessario fondere l’articolazione.
In questi casi, la ricerca e l’innovazione tecnologica ci offrono strumenti per essere il meno-invasivo possibile, riducendo le dimensioni delle incisioni, i tempi chirurgici ed i tempi di recupero.
Si tratta di placche particolari che danno un ulteriore aiuto al chirurgo: permettono di essere davvero riproducibili in termini di posizionamento del piede e della caviglia.
Sono strumenti che, se vengono utilizzati in modo appropriato, permettono di ridurre il rischio di un mal posizionamento legato ad un errore tecnico.
La giornata di oggi è stata una sfida avvincente e se con il mio lavoro, ho aiutato gli “specialist” di tutta Europa a consigliare meglio i loro chirurghi, sono felice.

A domanda, risposta

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