Meeting OTODI: il rapporto tra chirurgia ortopedica e traumatologia

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In questo articolo parliamo in dettaglio di:
Artrosi di caviglia: l’importanza della prevenzione
Frattura di caviglia: esposta e chiusa, composta o scomposta
Il rapporto traumatologo-chirurgo protesi di caviglia


Venerdì 19 maggio sono stato invitato al «Meeting OTODI» di Loano nella sessione dedicata alla caviglia e, in particolare, ho portato la nostra esperienza in termini di protesi di caviglia.
Il meeting nazionale OTODI è un evento che è cresciuto negli anni fino a diventare uno degli eventi più rilevanti in Italia, dopo un altro grande evento organizzato dalla stessa società scientifica OTODI, il «Trauma Meeting».
Per il nostro gruppo è un’occasione di lavoro importantissimo, perché ci dà modo di incontrare colleghi specialisti del piede e della caviglia, ma soprattutto colleghi traumatologi.
Grazie ancora al Dr. Elvio Novarese per l’invito e ai colleghi con cui ho condiviso la sessione!
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Artrosi di caviglia: l’importanza della prevenzione

È proprio dalla collaborazione con i traumatologi che nasce la prevenzione e l’ottimizzazione della cura dell’artrosi di caviglia.
Come non ci stanchiamo di raccontare sulle nostre pagine, l’artrosi di caviglia, soprattutto in nazioni come l’Italia, è soprattutto post-traumatica.
Ovviamente, esiste una quota importante di patologia legata a malattie infiammatorie sistemiche come artrite reumatoide, LES (lupus eritematoso sistemico), sclerodermia e altre ancora (circa 10%). Tuttavia, l’origine post-traumatica è numericamente più importante in aree geografiche come la nostra, dove le malattie infiammatorie sistemiche sono meno diffuse, rispetto, per esempio, ai paesi nordici.
La cura ottimale di ogni patologia è la prevenzione.
Prevenire in questo caso significa ricevere un’ottima cura al momento in cui si verifica la frattura.
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Frattura di caviglia: esposta e chiusa, composta o scomposta

Le fratture che interessano la caviglia sono le fratture malleolari (malleolo tibiale, malleolo peroneale, terzo malleolo o malleolo posteriore), le fratture del pilone tibiale (fratture tibiale che coinvolgono la superficie articolare), la fratture di gamba (Maisonneuve, isolate e biossee), le fratture di astragalo e, seppur indirettamente, le fratture di calcagno.
Più in generale, però, nel mondo della traumatologia si distinguono fratture esposte e chiuse.

  • Frattura esposta

Questo è un aspetto importantissimo. Le fratture esposte sono quelle in cui si ha una fuoriuscita dell’osso (esposizione) al di fuori dell’involucro tegumentario (tessuti molli e cute): l’osso diventa visibile esternamente.

  • Frattura chiusa

Nelle frattura chiuse questo ovviamente non avviene.
È importante capire come le fratture esposte impongano cure diverse rispetto alle chiuse, per via di un aumentato rischio di infezione. Questo implica, inoltre, un aumentato rischio di artrosi di caviglia.

  • Frattura composta o scomposta

Esistono, poi, fratture scomposte e composte. Le seconde sono quelle in cui non viene alterata la “forma” dello scheletro, le prime, invece, quelle in cui l’osso perde la forma originaria, scomponendosi.
Ovviamente, una frattura può essere scomposta e contemporaneamente esposta oppure essere scomposta chiusa.
Il chirurgo ortopedico nel curare le fratture si rifà a classificazioni, che sono utili per dare degli schemi terapeutici e ricondurre l’”imprevedibile” a schemi di lavoro pre-ordinati e di successo. La classificazione più nota prende il nome di AO.
L’obiettivo del trattamento delle fratture non è, pertanto, quello di prendersi cura del semplice osso fratturato, ma anche dei tessuti molli che le avvolgono e dell’osso insieme, in poche parole del paziente nel suo complesso.
L’intervento chirurgico che può richiedere una frattura è assolutamente diverso da un intervento elettivo, ossia quello in cui il paziente deliberatamente e in accordo con il suo medico di fiducia, decide di programmare.
L’obiettivo della cura non sempre può essere quello di una completa “restitutio ad integrum”, ossia di un ritorno alla piena funzionalità precedente il trauma.
Talvolta, la guarigione può essere solo parziale, anche a fronti di interventi eseguiti al meglio.
È un tema molto importante da sottolineare.
Infatti, spesso mi ritrovo pazienti in studio molto scontenti e infelici della situazione patologica in cui riversano ed è comprensibile: l’artrosi di caviglia è una condizione assolutamente invalidante.
Allo stesso modo, questo stato il più delle volte è da attribuirsi all’energia ed alla gravità del trauma subito, piuttosto che ad un trattamento inadeguato.

Per questo, penso che l’incontro di chirurghi, che come me, si occupano principalmente di gestire i postumi, con i chirurghi che, invece,  più spesso hanno a che fare con il trauma sia importante per noi professionisti, ma anche per i nostri pazienti.

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Il rapporto traumatologo – chirurgo di protesi di caviglia

Penso che il futuro sia sempre più legato ad una super-specializzazione in chirurgia, che, tuttavia, non faccia perdere di vista l’obiettivo generale: la salute del paziente nella sua complessità e nella sua globalità.
L’incontro con i traumatologi aiuta a comprendere quali sono le difficoltà a cui possono andare incontro e quali obiettivi hanno.
Allo stesso modo, penso che si possa giungere a conclusioni simile a parti invertite.
Ecco spiegata l’importanza e la peculiarità di questo meeting.
“Tecnicamente” è stato un momento in cui ribadire insieme l’importanza della riduzione anatomica del perone, benché non sia un osso di carico, in tutte le fratture di caviglia.
Un ulteriore tema è, stato, poi, come comportarsi nei casi traumatologici che non hanno un lieto fine e che si concludono con l’insorgenza di artrosi post-traumatica alla caviglia.
Per questi casi, la protesi di caviglia rappresenta ormai il trattamento di scelta.
È, poi, un dato assodato dalla letteratura che rivolgersi ad un centro di riferimento per questo genere di problemi sia assolutamente consigliabile.
I motivi alla base di questa affermazione sono ovviamente la familiarità del chirurgo con l’intervento, ma soprattutto la maggior abitudine alla gestione delle eventuali complicanze, che un centro ad alto volume offre.
È stata, come mi aspettavo, un’occasione per guardare avanti e sviluppare nuove idee di trattamento non soltanto in sala operatoria, ma anche per l’assistenza del paziente prima e dopo un’eventuale intervento di protesi di caviglia.
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A domanda, risposta

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