Tendinopatia inserzionale e non inserzionale: le differenze terapeutiche

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In questo articolo parliamo in dettaglio di:
La tendinopatia non-inserzionale
La tendinopatia inserzionale
La medicina rigenerativa e l’ortobiologia
La rottura del tendine d’Achille
La diagnosi di infiammazione del tendine d’Achille


Il tendine d’Achille è il più lungo e soggetto ai maggiori stress bio-meccanici tra tutti.
Nasce dall’unione di 3 diversi muscoli: gastrocnemio mediale, gastrocnemio laterale e soleo. I gastrocnemi sono due muscoli che nascono a livello dei condili femorali, quindi dietro al ginocchio, al contrario il soleo è un muscolo profondo che nasce sotto al ginocchio. Due muscoli su tre che danno vita al tendine d’Achille hanno un’azione sul ginocchio e sono condizionati da esso.
I muscoli lavorano come anelli di una catena, questo spiega perché uno stretching efficiente del “polpaccio” richiede un’attività di allungamento anche dei muscoli posteriori della coscia, i famosi muscoli ischio-crurali (bicipiti femorali, semi-tendinoso e semi-membranoso).
Un’ altra peculiarità del tendine d’Achille è la vascolarizzazione, infatti, la gran parte del nutrimento di questo tendine deriva da un foglietto molto sottile che lo avvolge, il peritenonion.
Si tratta di un’anatomia molto diversa da quella di altri tendini, come, per esempio, il tibiale posteriore. Quest’ultimo è avvolto da una vera e propria guaina sinoviale, che lo avvolge, ne favorisce la lubrificazione ed il nutrimento. Quello che è una sorta di spesso cappotto per il tendine tibiale posteriore, è una sottile “magliettina” avvolgente per il tendine d’Achille.

La tendinopatia non-inserzionale

L’anatomia ci viene in aiuto per spiegarci la causa della tendinopatia non-inserzionale.
Abbiamo spiegato come il supporto vascolare del tendine d’Achille sia critico e per gran parte provenga dall’alto, ossia dai muscoli che lo formano, e dal basso, cioè dall’osso (il calcagno) su cui si inserisce.
Questa tendinopatia si manifesta solitamente a metà strada tra le due fonti di nutrimento del tendine, a circa 2-3 cm dal calcagno e, pertanto, lontano dal ventre muscolare del “polpaccio”. Il tendine comincia ad allargarsi a clessidra e a diventare dolente.
È una patologia che può colpire in ugual misura donne e uomini, generalmente in un’età compresa tra i 40 e i 60 anni d’età.
Inizialmente si controlla la sintomatologia con dello stretching, successivamente subentrano le terapie fisiche. Terapie come le onde d’urto o la Tecarterapia hanno, infatti, proprio la finalità di incrementare il micro-circolo (i piccoli vasellini che portano nutrimento al tendine) riducendo la sintomatologia.
La chirurgia, in ultima istanza dopo le terapie fisiche, ha il ruolo iniziale di stimolare l’iper-vascolarizzazione del tendine. Oggi, con questo obiettivo, sono stati descritti interventi mini-invasivi, che, senza incisioni e cicatrici, ma con solo quattro buchini nella prossimità dell’area patologica incrementano la vascolarizzazione locale, riducendo il dolore locale.
Quando lo stadio della patologia è troppo avanzato, esistono soluzione chirurgiche di trasposizione tendinee.
In poche parole, si sfrutta un tendine sano (il flessore lungo dell’alluce) per sostituire il tendine d’Achille patologico. Sono interventi eseguibili con incisioni limitate o addirittura in endoscopia, definita in questo caso “tendoscopy”.
Non tutti casi di tendinopatia non-inserzionale achillea evolvono in rottura del tendine, ma certamente la sua rottura in questa forma di patologia è un evento non infrequente.
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La tendinopatia inserzionale

La tendinopatia inserzionale, al contrario, si manifesta nell’area dove il tendine d’Achille si inserisce sul calcagno.
Si tratta di una vera e propria patologia da sfregamento, con uno stress meccanico che produce dolore in corrispondenza della sporgenza ossea del calcagno. Spesso, questa patologia, si manifesta in esiti di una pregressa storia di morbo di Severe-Haglund, ossia un’osteocondrosi che si manifesta nell’età pediatrica.
Il piccolo paziente sviluppa un’infiammazione ed un dolore in sede inserzionale legata ad una malattia del nucleo di accrescimento del calcagno (la “fabbrica dell’osso” durante la crescita), che guarisce spontaneamente. L’unico ricordo è spesso un calcagno più vistoso del normale, che visivamente mostra una sporgenza posteriore.
Tale condizione anatomica può davvero essere una causa della tendinopatia inserzionale, ma non è l’unico fattore scatenante.
Altre volte, infatti, la tendinopatia inserzionale si manifesta anche senza un pregresso morbo di Severe Haglund ed in questi casi è più evidente una componente calcifica intratendinea.
Si tratta di una patologia che spesso colpisce i pazienti in una fase attiva della loro vita, tra i 25 ed i 50 anni, più frequentemente uomini, ma non raramente presente anche nei pazienti di sesso femminile. Spesso sono colpiti pazienti appassionati agli sport di fatica, come per esempio i runners. In casi simili, è evidente che la causa risieda nell’aumentato stress bio-meccanico, dato da forze di taglio ripetute.
In questi casi, la terapia iniziale deve essere volta a ridurre gli stress meccanici.
In primis, una cura della calzature e della calze dedicate è fondamentale e, un ulteriore aiuto,  è offerto dalle terapie fisiche che mediante il loro stimolo antalgico e anti-infiammatorio possono indurre un miglioramento della sintomatologia.
La procedura chirurgica anche in questo caso va considerata solo in caso di fallimento delle scelte conservative.
In questi casi la nostra scelta è un’asportazione del tessuto patologico (calcificazione intratendinea e esostosi del calcagno) mediante un accesso intratendineo, ossia una piccola incisione che permetta di accedere al calcagno passando attraverso il tendine d’Achille, senza, tuttavia, disinserirlo.
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La medicina rigenerativa e l’ortobiologia

Recentemente è nata una branca della disciplina che studia le capacità rigenerative del nostro organismo e le mette al servizio dell’Ortopedia per curare tendini e articolazioni patologiche La prima applicazione pratica è storicamente rappresentata da PRP, noto come “gel” o “pappa piastrinica“.
È una procedura che prevede di isolare dei frammenti di cellula (piastrine) tramite un semplice prelievo venoso del sangue del paziente. Il tessuto isolato con opportuni filtri viene iniettato nella sede del tessuto patologico, mediante un’infiltrazione.
Si è enfatizzato molto il ruolo rigenerativo del PRP. Studi recenti riducono le potenzialità rigenerative del PRP, ma ne accertano un potente effetto anti-infiammatorio e, pertanto, terapeutico.
Recentemente una nuova procedura di medicina rigenerativa parrebbe avere un ruolo rigenerativo molto promettente. Si tratta di una terapia che prevede un prelievo di tessuto adiposo del paziente e un utilizzo delle cellule mesenchimali presenti nel tessuto grasso con obiettivo rigenerativo.
Il paziente viene sottoposto ad una procedura di liposuzione, il grasso viene poi processato. La lavorazione del tessuto adiposo identifica e isola le cellule mesenchimali (cellule multipotenti, ossia in grado di avere un’azione rigenerativa nei tessuti dove vengono infiltrate), ciò permette di preservare il loro microclima ideale e le rende disponibili alla loro iniezione nel tessuto patologico.
Si tratta di una procedura, conosciuta come Lipogems, e frutto di un’idea e di uno sviluppo italiano.
Il mio gruppo, per primo in chirurgia della caviglia e del piede, ha studiato il ruolo di una procedura simile proprio nella tendinopatia non-inserzionale achillea.
Nel nostro studio abbiamo confrontato PRP e cellule provenienti dal tessuto adiposo, isolate mediante procedura SVF. I nostri risultati hanno trovato efficaci entrambe le procedure, ma una maggior velocità di risposta nei pazienti sottoposti alla procedura con cellule provenienti dal tessuto adiposo.
È uno studio che è stato presentato nei più importanti meeting internazionali e sulla prestigiosa rivista scientifica KSSTA.
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La rottura del tendine d’Achille

La rottura del tendine d’Achille è nella maggior parte dei casi degenerativa.
Questo è un aspetto che spesso stride con l’idea del paziente. Tanti di loro infatti riferiscono di ricordare uno scatto durante una partita, un cambio di direzione, una discesa od un gradino improvviso immediatamente prima di sentire una fitta nella gamba, profonda e lancinante come un calcio da dietro.
Suggerisco ai mie pazienti di vedere i video su YouTube di rotture di tendine d’Achille “famose”, come quelle di Beckham nel Milan, o Zanetti nell’Inter.
Da questi filmati si può dedurre facilmente come la “noxa patogena” non sia davvero un evento traumatico, ma un gesto banale, a carico di un tendine ormai degenerato. È un comportamento simile a quello di una corda sfilacciata, che ad un certo punto si rompe.
In questi casi il paziente presenta un affossamento lungo il decorso del tendine (il segno del valluum). Altrettanto spesso il paziente si reca in pronto soccorso, spaventato dal dolore e dalla tumefazione insorta successivamente. La diagnosi è clinica, ancor più che strumentale o di imaging.
In caso di accertata rottura del tendine d’Achille esiste un ruolo per il trattamento conservativo ed uno per la chirurgia, che idealmente non dovrebbe essere differita.
Recentemente la letteratura anglosassone ha enfatizzato il ruolo del trattamento conservativo che, tuttavia, prevede un’immobilizzazione prolungata fino a 90 giorni.
Ovviamente, noi riteniamo che questa debba essere un’opzione da discutere con il paziente, soprattutto nel caso di un paziente non in perfette condizioni di salute.
Tuttavia, la bassa invasività dei moderni interventi che prevedono davvero incisioni minime, tempi chirurgici ridotti e tempi di immobilizzazione di circa 40 giorni suggeriscono di valutare l’intervento chirurgico come un’ottima opportunità per un paziente in buone condizioni di salute.
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La diagnosi

La diagnosi delle patologie è soprattutto clinica. Il più delle volte una visita specialistica è sufficiente per ottenere una diagnosi, che può essere suffragata da indagini di imaging dedicate.
La procedura di imaging di base per studiare il tendine d’Achille è l’ecografia, che permette di apprezzarne l’anatomia.
La risonanza magnetica è poi l’esame di imaging di secondo livello. Permette di studiare l’entità della lesione e la retrazione dei capi tendinei.
Infine, nella tendinopatia inserzionale, dove il ruolo patologico è rivestito da “osso in eccesso” una semplice radiografia del retro-piede può essere sufficiente per individuare un’eventuale esostosi o una calcificazione intratendinea patologica.
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A domanda, risposta

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