Il piede piatto. Sintomi, diagnosi e rimedi: conservativi e chirurgici

piede piatto

Il piede piatto

Il piede piatto è forse la più comune deformità del retropiede.

In realtà racchiude uno spettro molto diverso di condizioni, non sempre patologiche.

Il piede piatto può infatti, essere una semplice caratteristica anatomica, che, tutt’al più, espone il paziente ad infiammazioni ricorrenti a livello del seno del tarso (sovraccarico biomeccanico), gestibili modificando l’appoggio con plantari e scarpe dedicate durante l’attività sportiva o nella quotidianità.

Può, ancora, essere caratterizzata da una connotazione anatomica più marcata, che espone a tendinopatie achillee, senza rientrare nella sfera della patologia. Si tratta di condizioni cliniche gestibili con l’introduzione di un’attività fisica appropriate, che dedichi tempo e attenzione allo stretching di tricipite (polpaccio) e muscolatura posteriore della coscia (catena posturale posteriore, in generale).

Quando la deformità è maggiore o, semplicemente, più instabile (instabilità peritalare mediale) il tendine che si ammala è il tendine tibiale posteriore.

Si tratta di vere e proprie tendiniti che evolvono in tendinopatie croniche e degenerative del tendine tibiale posteriore, inducendo una vera e propria condizione patologica, che gli Americani chiamano tendinopatia cronica del tendine tibiale posteriore. E’ il motivo per cui i chirurghi americani, negli anni 90, identificavano il piede piatto patologico con la tendinopatia del tendine tibiale posteriore (Posterior Tibial Tendon Disfunction). E’ una patologia che inizialmente può essere curata conservativamente, ma che nelle sue evoluzioni richiede un’approccio chirurgico, che varia in base alle caratteristiche della deformità e alla sue evolutività.

La scuola europea ha sempre visto, invece, come prima causa di questa patologia la deformità scheletrica, riferendosi al piede piatto con il termine di sindrome pronatoria.

Oggi, questa diatriba tra Americani ed Europei è indubbiamente superata dall’avvento di una nuova metodica diagnostica: la TAC in carico, con tecnologia Cone-Beam, ossia una tecnologia che, esponendo il paziente ad un bassissimo dosaggio di radiazioni, permette, però, una visione ed una ricostruzione tridimensionale del complesso piede e caviglia, sostituendo, di fatto, quanto meno nei centri di riferimento l’utilizzo delle Rx in carico.
Grazie alla TAC in carico di piede e caviglia è possibile dare tridimensionalità ad una patologia che prima, obbligatoriamente, la radiografia in carico riduceva a due dimensioni.
Tale soluzione ha amplificato le potenzialita’ diagnostiche e di comprensione della patologia,.
Oggi e’ chiaro che esistono piedi piatti in cui il problema principale è l’evolutività, ossia la sua tendenza a progredire e peggiorare nel tempo.

La TAC in carico ha permesso di individuare il problema, che oggi e’ denominato con una definizione innovativa: Progressive Collapsing Foot.

Questa condizione, solo nei suoi stadi piu’ avanzati, puo’ coinvogere la caviglia ed essere responsabile di artrosi di caviglia.
Sono casi isolati, non frequenti e complessi da curare, che possono arrivare a richiedere soluzioni chirurgiche che prevedano protesi di caviglia in associazioni a osteotomie o artrodesi di correzione del retropiede.

Infine, esistono condizioni patologiche che non rientrano propriamente nella definizione di piede piatto, pur avendone l’aspetto (piede di Charcot, per esempio).

L’espressione “piede piatto” semplifica qualcosa, che, poi, cosi’ semplice non e’.
Tutto questo perché è il piede stesso ad essere un organo tanto complesso, quanto affascinante.

Il piede infatti è molto di più di un organo deputato alla deambulazione e alla stazione eretta.

Il piede è sicuramente uno dei più importanti organi sensitivi del nostro corpo, ancora più importante della mano. Si può parlare del piede come di un organo recettoriale posturale che offre al cervello informazioni riguardanti il corpo stesso come la sua posizione nello spazio, il suo equilibrio e le sue oscillazioni.

Ecco perché non di rado le patologie che coinvolgono il piede possono trovare una spiegazione nella postura dell’individuo stesso o in altri casi possono esser la diretta causa di un’alterata postura.

Sicuramente le patologie più comuni di cui tutti abbiamo sentito parlare sono:

ma le patologie del piede possono coinvolgere tutta la sua struttura andando a snaturarne la forma.

Parliamo quindi di progressive collapsing foot, sindrome pronatoria, piede piatto, ma, piu’ in generale anche di deformità che sono agli antipodi del piede piatto, come per esempio il piede cavo-supinato, il piede di Charcot o la malattia di Charcot-Marie Tooth.

Il piede è costituito da circa 28 ossa, numerosi muscoli e articolazioni, ma in particolare sono 3 le strutture che vengono coinvolte quando si parla di piede piatto:

Da un punto di vista squisitamente medico e ortopedico il piede piatto vede infatti un “collasso” dell’astragalo che tende a verticalizzarsi e una tendenza del calcagno a valgizzarsi.

Il tendine che più di tutti soffre per quest’alterazione della forma è il tibiale posteriore che si ritrova teso e stirato nel tentativo di sorreggere la volta plantare.

Usando una terminologia più semplice e meno tecnica il piede piatto si presenta con la tendenza della volta mediale ad appiattirsi e cedere verso l’interno, mentre il calcagno viene spinto per compenso verso l’esterno.

Ricordiamoci però che il piede piatto però non è sempre indice di patologia e questo vale non solo per i bambini sotto i 6-7 anni di età, ma anche per alcuni adulti in cui il piede piatto rappresenta più una caratteristica che una patologia.
Torna in cima

Cause del piede piatto

piede piatto sport

In realtà non si conosce una vera e certa eziologia del piede piatto. Ricordiamo che tutti noi nasciamo con i piedi piatti. Questo ci fornisce un aiuto importante durante i primi passi: una pianta del piede più ampia ci aiuta nell’equilibrio durate i primi passi.

È verso gli 8 anni che il piede del bambino subisce quelle modifiche che lo portano a diventare il piede dell’adulto e quindi, in teoria, un piede correttamente allineato. Nella realtà questo non avviene sempre e il piede tende a rimanere pronato.

Un ruolo sicuramente importante, ma ancora non pienamente compreso è svolto dal tendine d’Achille. Infatti un tricipite surale (muscolo che termina con il tendine d’Achille) contratto può forzare il piede in un atteggiamento di pronazione.

Un altro imputato è sicuramente il tendine tibiale posteriore che va spesso in crisi, provocando dolore, nel paziente con piede piatto. Anche in questo caso però non è ben chiaro se, il dolore a livello del tibiale posteriore causato dal suo deterioramento, sia la causa o la conseguenza del piede piatto e quindi del cedere della volta mediale.

Secondo quando detto possiamo quindi affermare che sicuramente la genetica riveste un ruolo importante e alla base di questa patologia, ma vi sono anche forme acquisite:

  1. post-traumatiche;
  2. legate ad altre patologie come l’artrite reumatoide;
  3. neurologiche (molto più rare e più tipiche del piede cavo).

È scorretto pensare invece che l’obesità possa essere la causa del piede piatto: vi sono molti soggetti obesi che hanno un piede cavo. Indubbiamente però il sovrappeso può accelerarne i sintomi e aggravarne lo stato.
Torna in cima

Conseguenze del Piede Piatto

“Primum non nocere”.

E’ il primo insegnamento in Medicina ed e’ quanto mai appropriato, parlando di “piede piatto”.
Abbiamo, infatti sottolineato, come il piede piatto possa rappresentare una caratteristica anatomica, per di più compatibile anche con un’attività sportiva importante.
In questi casi le possibili conseguenze del piede piatto saranno innocue: consumo asimmetrico della calzature nei runner o tendenza a sviluppare, precocemente rispetto ad altri soggetti, segni di affaticamento del tricipite (polpaccio).
Si tratta di condizioni che rientrano nella fisiologia e che possono essere ottimizzate migliorando l’appoggio con plantari o calzature specifiche o, ancora, con un’attivita’ fisica specifica di stretching del tricipite a fine allenamento.

Il ruolo dello Specialista e’, pero’, quello di individuare e diagnosticare quei piedi piatti che abbiano caratteristiche di evolutività.
L’obiettivo e’ quello di offrire al paziente un trattamento meno invasivo di quanto non possa comportare una possibile attesa ed una patologia evoluta negli anni, inducendo una deformità ed una disabilità maggiore.

Si tratta di un compito a cui lo Specialista e’ chiamato quando visita giovani pazienti in eta’ pediatrica. Curando questi giovani pazienti, e’ fondamentale distinguere i piedi piatti parafisiologici (che rientrano nella norma).
L’obiettivo è quello di proporre una eventuale soluzione chirurgica solo ai pazienti che realmente ne abbiano bisogno, ma anche, d’altro canto, proporrre, nei quadri patologici, soluzioni chirurgiche a bassa invasività (endortesi), che plasmino la crescita residua a disposizione, evitando al paziente interventi a maggior invasivita’ in età adulta.

Ricordiamolo: non tutti i piccoli pazienti con il piede piatto sono malati e non tutti meritano questa correzione! Individuare coloro che rientrano nello spettro patologico e’ una importante forma di prevenzione di Progressive Collapsing foot.

Di fronte ad un paziente adulto, in modo simile, il ruolo dello Specialista e’ quello di individuare i piedi piatti che abbiano le caratteristiche del Progressive Collapsing Foot ed andare a proporre il trattamento adeguato per lo stadio corrispondente, prima che evolva nel successive.

Infatti, un piede piatto può essere ricostruito mediante delle osteotomie e dei bilanciamenti tendinei, che non richiedono il sacrificio di alcuna articolazione o può richiedere, nei casi estremi, il ricorso ad artrodesi (blocco di alcune articolazione) non ovviamente della caviglia, ma delle articolazioni vicine, come sottoastragalica e astragalo scafoidea.

Le conseguenze di un progressive collapsing foot non corretto al momento giusto potrebbero essere, quindi, la necessita’ di dover ricorrere ad artrodesi invece che ad osteotomie.
In poche parole, significa, per un paziente, la possibilità di trovarsi a fine cura con dei movimenti in meno o con gli stessi movimenti di un piede sano, con un impatto profondo sulla sua quotodineità.

Infine, una conseguenza importante del piede piatto nel caso questo sia progressivo, è il coinvolgimento nella patologia della caviglia, che diventa valga ed artrosica. Le artrosi di caviglia associate ad una grave sindrome pronatoria rientrano tra i casi piu’ difficili da curare e possono richiedere procedure di protesi di caviglia per preservare il movimento della caviglia, associate a riallineamenti dell’arto (osteotomie di tibia e perone) e artrodesi del retropiede.

Queste ultime sono caratterizzate da deformità estreme, che oggi, una maggior attenzione alla patologia ed una evoluzione profonda in ambito diagnostico grazie all’avvento della TAC in carico potrebbe essere nella maggior parte dei casi possibile prevenire.

Classificazione del piede piatto

Esiste un’unica classificazione o ne esiste una meglio di un’altra?

Oggi probabilmente si.

Con orgoglio posso affermare che la classificazione più utilizzata in passato per parlare di piede piatto è quella di Bluman e Mark Myerson, il mio maestro.

Lo definisco il mio maestro, perché Mark ha davvero rappresentato una guida importante nella mia vita. Ho lavorato con lui a Baltimora e, poco dopo di me, lo ha fatto la dr.ssa Maccario, che oggi è parte integrante del mio team, pubblicando insieme a lui un algoritmo di trattamento sul piede piatto del bambino, su OrthoPaedics, una importante rivista scientifica internazionale.

La classificazione di Bluman e Myerson prevede una suddivisione dei gradi di piattismo del piede in 4 gradi a seconda dell’interessamento:

  • del retropiede isolato;
  • di retropiede;
  • avampiade;
  • di piede e caviglia.

Inoltre prende in considerazione la possibilità di ridurre o meno la deformità manualmente.

Si parla, pertanto, di piede piatto flessibile (correggibile manualmente) o piede piatto rigido (non correggibile).

La classificazione benché molto intuitiva, comprende vari sottogruppi e ci aiuta ad analizzare con precisione la clinica per proporre una terapia efficace, spesso chirurgica, al paziente.

Il privilegio di questa classificazione è la semplicità:

  1. primo grado per il piede piatto patologico che merita iter conservativo
  2. secondo grado per il piede piatto flessibile, ossia correggibile con osteotomie senza necessita’ di utilizzare artrodesi e, quindi, senza bloccare alcuna articolazione
  3. terzo grado per il piede piatto rigido, che richiede interventi di artrodesi di retropiede, senza coinvolgere la caviglia
  4. quarto grado per il piede piatto avanzato che ha coinvolto nella patologia la caviglia e che puo’ richiedere l’utilizzo di protesi di caviglia associate a procedure di correzione del retropiede (osteotomie e artrodesi).

Oggi, l’introduzione della TAC in carico come metodologia diagnostica ha portato a superare questa classificazione in gradi semplice e schematizzata, introducendo il concetto di Progressive Collapsing Foot e di una classificazione ed algoritmo terapeutico più elaborato.

Siamo di fronte davvero ad una rivoluzione epocale, in cui, nei centri di riferimento, abbiamo accesso a questa tecnologia che permette di studiare il piede in carico (ossia stando in piedi), offrendo immagini reali, tridimensionali e non “piatte”, su due dimensioni, come nel caso di una radiografia in carico.
Questo ha permesso di sviluppare misurazioni nuove e di riutilizzare angoli e misure lineari valide per le radiografie piana in modo diverso e più completo.

Oggi è chiaro che il Progressive Collapsing Foot è molto più complesso di quanto non sembri.

Si e’ di fronte ad una patologia che ha una evoluzione fluida ed in cui è importante comprendere la deformità per pianificare ed agire, quando indicato, tempestivamente ed evitare un peggioramento della deformità e di conseguenza della prognosi per il paziente.

Il vantaggio ulteriore della TAC in carico è che questo strumento, pensato come un puro strumento diagnostico, oggi è anche un vero e proprio strumento operativo.
Infatti, grazie ad applicazioni come BoneLogic (Disior), oggi al mio gruppo e’ possibile eseguire un planning delle correzioni, comprendendo ed analizzando su un modello tridimensionale l’impatto di ogni correzione scheletrica.

L’imagig si fa operatività.

Realtà aumentata e robotica anche in questo campo fanno e faranno il resto.

Ed è già presente!

Torna in cima

Male al piede: ho il piede piatto?

Questa è una frase che tipicamente ci rivolge un paziente all’inizio della visita. Sicuramente questo è dovuto in parte all’inflazione di questo termine, ma sono subito chiari allo specialista i segni patognomici di questa patologia.

Ritengo che l’infomazione e la comprensione del paziente siano fondamentali e per questo motivi abbiamo sviluppato per il piede piatto dei video dedicati agli esercizi da eseguire per curarsi e video dedicati alla comprensione della patologia, che sono consultabili sui nostri canali social e sul mio canale YouTube.

Piede piatto nell’adulto: i sintomi

Nell’adulto il dolore è mediale proprio a livello del tibiale posteriore. Si tratta di un dolore che può essere continuo o intermittente e che si riaccende dopo lunghi percorsi o dopo l’utilizzo di calzature con poco tacco.

Il dolore parte mediale e può risalire anche lungo la gamba seguendo il tragitto del tendine d’achille e del muscolo tibiale posteriore irradiandosi in alcuni casi fino al polpaccio.

Alcuni pazienti riferiscono crampi, spesso notturni, legati alla contrazione del muscolo tricipite.

In alcuni pazienti inoltre è presente, sempre a livello mediale, una piccola sporgenza ossea. Si tratta dell’“os tibialis”, un osso accessorio, presente in meno del 10% della popolazione. In questi pazienti può essere l’os tibialis stesso a provocare dolore esercitando attrito contro il tendine tibiale posteriore.

Un altro tipico segno che ci fa pensare al piede piatto è il dolore laterale a livello dell’articolazione sottoastragalica.

Questo dolore esacerbato non solo dai lunghi percorsi, ma anche dal cammino su terreni irregolari, evidenzia un interessamento della sottoastragalica e ci indica un piede piatto di grado più severo. In questi pazienti il piede appare solitamente con una deformità maggiore ed un più severo il collasso della volta plantare.

Nei casi ancora più avanzati e di gravità maggiore si arriva anche ad un coinvolgimento della caviglia con forte limitazione funzionale e zoppia. In questi pazienti la caviglia tenderà spesso a gonfiarsi ed il dolore può apparire diffuso e completamente aspecifico. Inoltre può essere notato nel tempo dal paziente stesso, un cambiamento nella forma non solo del piede, che tende a cedere sempre di più verso l’interno, ma anche della caviglia che viene come trascinata dal piede stesso e tende a collassare anch’essa medialmente.

Piede piatto nel bambino: i sintomi

Molto diversa è invece la sintomatologia del piede piatto nel bambino. Il piede piatto nel bambino è spesso asintomatico e, a portarlo dallo specialista è, il più delle volte, la preoccupazione dei genitori che vedendolo camminare a piedi nudi, o osservando l’usura delle scarpe, notano una tendenza del piede a pronare e a consumare la suola in modo asimmetrico.

Indubbiamente è importante soffermarsi sull’età del bambino. Dalla nascita fino ai 6-8 anni è fisiologico avere un piede piatto. Tra gli 8 ed i 12 anni, invece, il piede del bambino tende verso un processo di trasformazione del piede che lo porterà ad avere un piede adulto ad un’età di circa 13-14 anni. E’ perciò nel periodo di vita tra gli 8 ed i 10 anni che è importante per lo Specialista visitare il bambino, tenendo presente che anticipare di diversi mesi la visita di una piccola paziente è preferibile rispetto ad un piccolo paziente. Spesso, infatti, le donne vanno incontro precocemente al periodo della vita della pubertà e ad un conseguente picco di crescita. E’importante intercettare un piede piatto patologico prima che questo avvenga.

Il dolore nei bambini può invece essere presente durante l’attività sportiva ed è limitato al tendine tibiale posteriore con le caratteristiche descritte precedentemente. Talvolta anche nei piccoli pazienti il piede piatto può essere associato all’“os tibialis” che diventa sintomatico già in età infantile.

Vi sono rari casi in cui invece la causa del piede piatto è la formazione di un ponte fibroso o osseo tra un osso e l’altro (tipicamente tra calcagno e astragalo o tra scafoide e calcagno), detto sinostosi. In questi casi il bambino è sempre sintomatico, la deformità è rigida. Sono pazienti che necessitano una diagnosi corretta e tempestiva ed un trattamento il più delle volte chirurgico.
Torna in cima

Visita specialistica piede piatto

visita piede piatto

Lo specialista per porre diagnosi di piede piatto deve per prima cosa prestare attenzione alla clinica. Questa è una fase fondamentale della diagnosi che non può essere colmata o sostituita da nessun esame strumentale.

Il paziente deve essere visitato mentre cammina a piedi nudi, in questo modo sarà possibile valutare l’atteggiamento del piede ed osservare come si comporta durante le varie fasi del passo.

Il piede va visitato in carico perché è in carico che lavora. Un piede piatto osservato non in carico mantiene la sua volta plantare e questo può spesso trarre in inganno, pazienti e medici non esperti di questa patologia, e far pensare ad un piede cavo.

Vanno inoltre fatti eseguire al paziente alcuni test per valutare il buon bilanciamento di muscoli e tendini e particolare attenzione deve essere posta nell’ispezionare il tibiale posteriore. Soprattutto nei bambini inoltre è importante chiedere di sollevarsi sulla mezza punta per valutare l’eventuale presenza di sinostosi ossee causa più comune di piede piatto doloroso pediatrico.

Dopo la clinica l’esame più utile è sicuramente la radiografia eseguita in carico.

Oggi, e’ preferibile la tecnologia TAC in Carico del piede e della caviglia Cone-Beam, che, a basso dosaggio di radiazioni permette uno studio tridimensionale del piede in carico.

Grazie a questo esame poco invasivo, è possibile osservare l’atteggiamento del piede durante l’appoggio e facendo riferimento ad alcuni parametri radiografici come il “Meary Angle“, “Pick Angle”, “Talar Coverage Angle” e molti altri possiamo porre una diagnosi di certezza. Importante è però osservare anche le articolazioni in particolare la sotto-astragalica e l’stragalo scafoidea senza dimenticare la caviglia.

Nei gradi più avanzati di piede piatto (grado 3° e 4°) si parla di un piede piatto rigido, non riducibile causato da un’artrosi, indotta dalla deformità stessa, a livello dell’articolazione sotto-astragalica ed astragalo scafoidea.

Nel grado 4° inoltre abbiamo un interessamento della caviglia con un valgismo ed un’artrosi della caviglia stessa.

In casi limitati per valutare la qualità e il bone stock osseo può essere richiesta una TAC utile anche nello studio delle sinostosi.

Nello studio delle sinostosi pediatriche, solitamente, si preferisce sostituire la TAC con l’altrettanto efficace risonanza per non esporre i piccoli pazienti ad importanti dosi di radiazioni.

Ad ogni modo, e’ importante ricordare come il binomio intervento – piede piatto non sia assolutamente scontato e l’operazione chirurgica risulta necessaria nella minoranza dei casi.
Torna in cima

Rimedi per la correzione del piede piatto

Ricordiamo come, in realtaà, la correzione del piatto piatto sia possibile solo con la chirurgia.
Tuttavia, frequentemente le terapie conservative, volgarmente conosciute come “rimedi per il piede piatto” possono avere successo, offrendo compensi efficaci, che si traducono in un controllo del sintomo, non in una correzione della deformità.

La terapia quindi può essere conservativa o chirurgica.

Si può parlare di terapie conservative solo in un piede piatto flessibile, non perché ci si aspetti una correzione dal plantare, ma perché in caso di deformità rigida non è concesso nemmeno quel minimo adattamento che permetta al plantare di svolgere la sua funzione di sollievo. Il plantare può essere una valida opzione ma solo nei casi corretti e può portare ad un sollievo prolungato nel tempo. Altre volte invece a causa di un peggioramento della deformità o della rigidità sopraggiunta non riesce più ad esercitare la sua funzione.

Intervento chirurgico nell’adulto: osteotomia di calcagno e artrodesi

L’intervento per la correzione del piede piatto nell’adulto è un’opzione in tutti quei casi in cui il trattamento conservativo non ha avuto l’effetto sperato sulla sintomatologia, nei casi in cui si preveda una forte evolutività nelle deformità non riducibili, rigide.
Le tipologie di intervento per il piede piatto dell’adulto eseguibili sono varie a seconda della gravità della deformità e quindi della maggiore o minore flessibilità.

Nei primi gradi di piede piatto abbiamo ancora margine per eseguire interventi di osteotomia del calcagno e transfer tendinei. Si tratta di interventi che non sovvertono completamente l’anatomia del piede, ma che mirano a ripristinarla nel modo meno invasivo possibile.

Nei casi in cui questo non sia più possibile per la gravità della deformità allora bisogna pensare ad interventi di artrodesi, cioè fusione di una o più articolazioni, per ricreare la normale forma del piede e riportare il piede in asse. Si tratta di interventi più importanti, ma con un alto tasso di soddisfazione da parte del paziente che può osservare, in maniera ancora più lampante rispetto ai precedenti interventi citati, il cambiamento nella forma del proprio piede.

Nei casi in cui si parli di un piede piatto con coinvolgimento della caviglia (piede piatto di grado 4) si deve obbligatoriamente estendere l’indicazione non solo al piede, ma anche alla caviglia.

In questi casi è d’obbligo un intervento di duplice artrodesi (sopra menzionato) associato ad un’artrodesi o preferibilemnte ad una protesi alla caviglia. Si tratta tuttavia di pazienti eccezionali e di casi limitati  che spesso vengono convogliati in centri di eccellenza vista la loro particolarità.

Operazione piede piatto nel bambino: calcagno stop ed endortesi

Il piede piatto nel bambino può essere corretto attraverso un intervento mini invasivo sfruttando le capacità di crescita del piccolo paziente. Fino ai 13-14 anni di età le cartilagini di accrescimento non fuse permettono di poter approfittare della crescita ossea per indurre una correzione nel piede. Si parla di endortesi senotarsica e di calcagno-stop.

Sono queste le due procedure chirurgiche, molto simili, che mirano alla correzione del piede piatto del bambino basandosi su un meccanismo appunto di “stop” nei confronti della volta plantare che quindi, non tende più a cedere.

Il calcaneo-stop tradizionale prevede l’inserimento di una piccola vite nel calcagno. A determinare lo “stop propriocettivoe la correzione sarà proprio l’eminenza delle vite dal calcagno.

Al contrario, la procedura di endortesi prevede l’ inserimento di una piccola protesi (ad espansione o ad avvitamento) in una cavità naturale già pre-esistente, definite come “seno del tarso”. E’ la chirurgia a minor invasivita’ possibile con un potenziale di correzione analogo alle altre soluzioni. E’ una operazione che, pur rientrando nella famiglia delle procedure di calcagno-stop, e’ indubbiamente nel tempo diventata l’intervento per il piede piatto del bambino piu’ diffuso nel mondo occidentale.

È un intervento eseguibile con una incisione inferiore al 1.5 cm.

Il mio gruppo suggerisce, nella maggior parte dei casi, l’operazione bilaterale, per permettere al piccolo paziente di tornare ai porpri interessi sportivi e non nel minor tempo possibile con un unico decorso.

Benché questa tecnica stia trovando un minimo impiego anche nell’adulto per la sua semplicità di esecuzione, tuttavia, si rivela più spesso inefficace, esponendo il paziente ad un alto tasso di rimozione a causa del dolore indotto dalla protesi ed al rischio di una conseguente recidiva. Questo perché un piede già “formato” non riesce ad accogliere con la stessa capacità la protesi.

Nel bambino, infatti, le percentuali di rimozione della protesi sono minime e legate a casi particolari in cui, spesso, si può prevedere e pianificarne la rimozione fin dall’inizio.
Torna in cima

Percorso post-operatorio piede piatto

piede piatto tempi di recupero

Riabilitazione piede piatto nell’adulto

#caricareperguarire è molto più di un hashtag per il mio gruppo.

Rappresenta e condensa il nostro rapporto con l’evoluzione in Ortopedia e il nostro rapporto con il paziente.

Ritengo che il carico immediato sia un vantaggio per ogni paziente, in quanto riduce iI rischio di complicanze, quali l’agodistrofia e I Morbo di Sudeck, non direttamente collegabili alla chirurgia, ma alla riabilitazione del piede piatto dell’adulto. Permette, inoltre, al paziente di prendere confidenza da un punto di vista propriocettivo il prima possibile con il nuovo piede corretto.

Il decorso post operatorio può variare in base all’intervento effettuato.
Se si parla di interventi di osteotomie e transfer tendinei, il paziente dovrà portare un speciale stivaletto gessato in vetroresina (leggero) per 4 settimane, cominciando a caricare dal giorno successive all’operazione.

La guida sarà possibile dopo 1 mese e mezzo circa mentre la ripresa delle attività sportive avverrà a circa 4-5 mesi.

Nel caso di interventi di artrodesi è bene ricordare che e’ eseguibile, per la maggior parte dei casi, con tecnica percutanea mini-invasiva e che il periodo di immobilizzazione con stivaletto gessato di vetroresina non varia rispetto alle osteotomie. Cambia invece l’approccio con iI carico, nella riabilitazione, per cui prevediamo circa 15 giorni di carico sfiorante, in cui il piede tocca per terra, ma non e’ concesso il carico completo, che viene ripreso due settimane dopo l’intervento. Tuttavia, la ripresa da parte del paziente non sarà ulteriormente rallentata: la guida sarà possibile dopo 2 mesi ed un recupero dell’attività sportiva dopo 6-7 mesi.

Riabilitazione piede piatto nel bambino

Nel caso di intervento bilaterale (la maggioranza dei casi), dopo l’intervento il paziente uscirà dalla sala operatoria con due speciali stivaletti gessati leggeri in vetroresina, pensati per favorire l’appoggio ed il carico da subito (sotto al ginocchio, lasciando libere le dita dei piedi).

La riabilitazione del piede piatto del bambino prevede, pertanto, che il piccolo paziente possa camminare da subito. I due gessi, infatti, in questo caso hanno solo la finalità di evitare che il bambino assuma un atteggiamento vizioso dettato dalla contrazione muscolare antalgica. Dopo 15 giorni i gessi potranno essere rimossi e il paziente potrà riprendere le sue normali abitudini. Ultime conquiste saranno la corsa ad 1-2 mesi e gli sport da contatto (a 3 mesi circa).

Nel caso, invece, di intervento monolaterale la riabilitazione di un intervento di endortesi, come del resto la riabilitazione di un intervento di calcagno-stop tradizionale prevede un carico immediato senza l’utilizzo di stivaletto gessato.

La ricerca sul piede piatto: il contributo del mio gruppo all’evoluzione scientifica

Il mio gruppo ha dedicato i propri interessi scientifici allo sviluppo del fast-track e del rapid recovery in qualsiasi ambito di chirurgia del piede e della caviglia, in particolare in ambito di artrosi di caviglia e piede piatto, ma in generale nella cura delle deformità di piede e caviglia.
Credo che il carico immediato ed una riabilitazione che richieda il pieno coinvolgimento del paziente sia la chiave per ottenere un pieno recupero e risultati funzionali migliori, in piena sintonia con le richieste del paziente moderno.
La nostra pubblicazione Return to sport After Medial displacement Calcaneal Osteotomy and flexor digitprum longus trasnfer (KSSTA 2018 Usuelli et al) ha dimostrato come l’attenzione alla mininvasività ed il carico precoce rendano interventi di correzione del piede piatto compatibili con attività sportive importanti, anche in atleti d’élite.
In ambito pediatrico la nostra attività di ricerca ci ha portato a dimostrare l’efficacia della correzione ottenuta con intervento di endortesi non solo nell’immediato post-operatorio, ma anche a fine crescita: “Effectiveness of subtalar arthoeresis with endorthesis for pediatric flexible flat foot: a retrospective cross-sectional study with final follow-up at skeletal maturity”, Foot Ankle Surg, 2020.
La popolarita’ di questo intervento ci ha portato a studiarne l’applicazione nell’adulto e a sconsigliarne l’uso per l’elevato tasso di complicazioni: The calcaneo-stop procedure. Usuelli et al, Foot Ankle Clinics 2012.

Torna in cima

A domanda, risposta

Passo 1 di 3