Una frattura di tibia è un evento importante per l’arto inferiore e che richiede diverse attenzioni per ottenere il massimo possibile dal successivo percorso di recupero e ridurre il rischio di esiti negativi (artrosi di caviglia post-traumatica).
La tibia è un osso lungo costituito da una diafisi e due porzioni, dove la struttura scheletrica tende ad allargarsi. Una prossimale (in alto, che dà vita al ginocchio insieme al femore), l’altra distale (in basso) che dà vita alla caviglia.
Insieme, a perone e astragalo, dal momento che il nostro principale interesse è la caviglia, andiamo ad analizzare come l’anatomia della tibia sia importante per l’intera caviglia.
Infatti, caviglia, perone e astragalo insieme danno vita ad una articolazione estremamente congruente. Significa che una frattura di perone o di astragalo ha direttamente un impatto sull’evoluzione artrosica dell’intera articolazione, quindi anche della tibia.
Inoltre, implica che una frattura della tibia alta, per esempio a livello diafisario, ma persino una frattura ancora più alta (plateau tibiale, ginocchio) può avere un impatto sulla congruenza di tibia, perone e astragalo e indurre una artrosi post traumatica a livello della caviglia. Questo fenomeno, d’altro canto, è vero anche per il perone. Una frattura alta del perone, sopra la sindesmosi, può indurre comunque artrosi di caviglia.
La congruenza dell’articolazione significa che, in statica, il ruolo della maggior parte dei legamenti è minimo. Tale ruolo diventa invece fondamentale nella dinamica del passo. Teniamo presente che anche il semplice ortostatismo richiede aggiustamenti continui. Pertanto anche in occasione dei classici micro-movimenti che l’ortostatismo richiede, i legamenti della caviglia sono fondamentali.
Quindi, quando ci troviamo di fronte ad una descrizione di una frattura tibiale, non possiamo prescindere dalla descrizione di altre strutture ugualmente importanti:
Infine, se è chiara l’estrema congruenza della caviglia, è chiaro come anche le microfratture di tibia (talvolta si utilizza questo termine per indicare distacchi osteocartilagineo, altre volte per indicare indebolimento della spongiosa scheletrica senza una perdita di congruenza) possono avere un impatto sullo sviluppo di una disabilità ed una conseguente artrosi postraumatica di caviglia.
Se vuoi approfondire le cause delle fratture di tibia e perone, leggi anche: “L’infortunio di Valentino Rossi: frattura tibia e perone”.
La classificazione più comune e chiara è fornita da AO Trauma. Si tratta di una categorizzazione che associa un numero a ogni diverso segmento scheletrico e che completa questa descrizione aggiungendo altri numeri che indicano altri fattori descrittivi.
Ritengo che tale classificazione sia estremamente utile per il professionista che deve comunicare ad un altro professionista l’entità e la tipologia della frattura. Inoltre, questa classificazione ha anche una profonda utilità in termini di decisioni terapeutiche.
Tuttavia penso che, in un articolo con finalità divulgativa, si debba spiegare alcune caratteristiche principali analizzando altre e diverse classificazioni per le fratture di tibia e per le fratture di caviglia.
Frattura esposta
È una frattura in cui l’osso ha danneggiato i tessuti molli che la avvolgono e la proteggono, diventando visibile all’esterno. Si tratta di fratture che meritano un trattamento chirurgico di riduzione parziale e stabilizzazione che sia il più veloce possibile (damage control). Dopo questo primo intervento, sarà possibile eseguire una chirurgia più precisa e raffinata una volta completata la guarigione dei tessuti molli. La frattura esposta è una frattura che espone il paziente ad un rischio di infezione estremamente elevato, che aumenta nel caso si prendano decisioni sbagliate, ma che è comunque presente anche quando tutto viene scelto ed eseguito al meglio.
Frattura chiusa
Indica una frattura in cui lo stato dei tessuti circostanti (tegumenti) è integro. Questa semplice classificazione delle fratture di tibia (esposta o chiusa), è in realtà applicabile a qualsiasi segmento scheletrico e dà delle indicazioni chiare al paziente sulla necessità di ricevere un primo consulto rapido e sui rischi che la frattura comporta.
Frattura composta
Nella frattura composta di tibia non si ha una alterazione della congruenza articolare. Sono fratture che in caso di estrema stabilità possono essere gestite conservativamente. La decisione deve essere presa da uno specialista, a cui non sfuggirà anche la minima scomposizione.
Frattura scomposta
È una frattura in cui la congruenza non è ripristinata. Sono fratture che in un paziente sano rappresentano una indicazione chirurgica. La non congruenza o la congruenza parziale sono i principali fattori di artrosi post traumatica successiva.
La frattura isolata di tibia indica un quadro in cui l’unico osso coinvolto è la tibia. Frattura biossea indica una frattura in cui viene coinvolto il perone. Questa rappresenta una indicazione chirurgica per il rischio di instabilità e perdita di congruenza.
Sono anch’ esse fratture articolari di tibia. Distinguiamo:
In passato si consideravano le fratture malleolari come delle fratture ad evoluzione benigna e facili da trattare (la cosiddetta “palestra dello specializzando”). In realtà, è chiaro che le quelle malleolari rappresentano fratture articolari e, pertanto, sono da considerarsi lesioni che coinvolgono l’articolazione nel punto più critico.
Una decisione sbagliata o una manovra di riduzione (“ricomposizione”) insufficiente o una sintesi incompleta possono portare a un fallimento del trattamento e introduzione di artrosi di caviglia
Si tratta di condizioni patologiche in cui l’integrità e la congruenza anatomica sono rispettate, per quanto a rischio. Infatti, a una normale radiografia i rapporti non appaiono alterati. Una risonanza magnetica può invece mostrare edema della spongiosa (da non confondersi con edema legato a gonfiore: in questo caso è la trabecolatura ossea a produrre l’immagine dell’edema). L’iter terapeutico di questi eventi patologici è nella maggior parte dei casi conservativo con scarico, immobilizzazione completa o parziale, terapie fisiche quali magnetoterapia con finalità osteoinduttiva. In casi selezionati è possibile considerare procedure mini invasive di sub-chondroplasty per velocizzare il processo di guarigione.
Non è possibile dipingere un unico quadro comune di sintomi stante le diverse tipologie di fratture che abbiamo descritto in precedenza. Tuttavia, è chiaro che una frattura, anche nei casi di non marcata scomposizione, si manifesti con:
L’impotenza funzionale e l’impossibilità a caricare (metterci il peso) è un quadro comune e ancora più evidente nei quadri di frattura biossea.
È bene ricordare come una frattura di tibia possa rappresentare un evento importante per l’arto inferiore ed il nostro corpo. Pertanto, è molto importante che lo specialista escluda concomitanti lesioni associate di strutture nobili (vasi e nervI) ed in caso siano presenti è fondamentale che vengano trattate tempestivamente.
Inoltre, è importante sottolineare come in una gamba fratturata, non ci siano solo ossa, ma anche e, forse, soprattutto, tessuti molli (cute, fasce e muscoli), che giocano un ruolo fondamentale, insieme allo scheletro (tibia e perone).
Nelle fratture esposte il rischio maggiore è quello di infezione. Nelle fratture chiuse, il rischio maggiore è di sindrome compartimentale. Si tratta di una patologia post-traumatica insidiosa che si manifesta in seguito a sanguinamento interno a fasce muscolari, che produce una compressione esagerata di queste stesse fasce, con possibili evoluzionI in necrosi dell’intero comparto miofasciale interessato.
Diagnosi precoce e fasciotomia chirurgica sono importanti per ridurre al minimo i rischi di disabilità a lungo termine di questa patologia. I suoi esiti interessano vasi, nervi e muscolatura coinvolta con caratteristiche evoluzione a griffe (artiglio) delle dita del piede legate a disfunzione o ipofunzione della muscolatura.
La diagnosi comunque non può prescindere da indagini di imaging. La maggior parte delle fratture di tibia può essere diagnosticata con una semplice radiografia.
Tuttavia il planning chirurgico o, ancor prima una decisione se intervenire chirurgicamente o meno, non può prescindere da un’indagine di imaging di secondo livello come una TAC, che permette di studiare i rapporti articolari con una prospettiva tridimensionale. Fratture da stress e edemi della spongiosa vengono identificate invece più facilmente con risonanza magnetica.
Recentemente, la Tac in carico offre uno strumento avanzato per monitorare nel tempo evoluzione e bontà delle cure. È un esame che viene eseguito quando il paziente è in via di guarigione e può dare il carico sull’arto operato. In questi casi, il carico permette di valutare meglio la salute articolare.
Per di più esistono elaborazioni di imaging (distance mapping) che sfruttano intelligenza artificiale in ortopedia e che permettono di utilizzare la TAC anche come una “force platform”, ricavando immagini elaborate sul carico distribuito all’interno dell’articolazione e trasformando ed elevando la tac standard da semplice indagine di imaging in una indagine morfofunzionale.
Abbiamo chiarito precedentemente quanto il trattamento possa differire in base alle classificazioni di frattura. I più comuni sono:
Il trattamento conservativo è risolutivo solo per fratture composte o microfratture. Questo tipo di lesioni possono essere determinati da traumi a bassa energia o anche da semplici traumi distorsivi, con una evoluzione, però, ovviamente, più complessa. Da un estremo all’altro, le fratture peggiori da curare sono ovviamente quelle esposte.
La frattura esposta richiede una stabilizzazione iniziale per favorire la guarigione dei tessuti molli (Damage Control). Nella maggior parte di questi casi, un trattamento definitivo può essere pianificato in una seconda fase che può variare in base al periodo finestra ideale per ridurre il rischio di infezione.
Il trattamento chirurgico è poi definito in base alla localizzazione della frattura. La maggior parte delle fratture diafisaria vengono curate con infibuli, ossia chiodi inseriti con mini approcci. Si tratta di chiodi che vengono inseriti da sotto al ginocchio con mini-accessi e che attraversano la diafisi tibiale per l’intera sua lunghezza. Hanno la proprietà di stabilizzare la frattura concedendo un carico praticamente immediato nella maggior parte dei casi.
Questo tipo di sintesi non è invece consigliabile nella maggior parte delle fratture articolari (plateau tibiale e plafond tibiale), che suggeriscono il ricorso a placche e viti anatomiche.
Il ricorso alla Medicina Rigenerativa (cellule prelevate dal grasso, midollo osseo o sangue per il loro potere rigenerativo) non può essere considerato come intervento risolutore nella maggior parte dei casi.
Tuttavia, questo approccio può essere utilizzato in associazione alla chirurgia per ridurre i tempi di guarigione. Allo stesso modo, può essere utilizzato come stimolo di guarigione nelle fratture della spongiosa o microfratture di tibia in un popolazione di pazienti selezionata.
Il paziente sente dolore in sede di frattura. Nella maggior parte dei casi, il dolore si associa a dolore.È necessario rivolgersi a un Pronto Soccorso.
Si riconosce tramite Risonanza Magnetica, che evidenzia lesioni non visibili ai raggi X.
È probabile che tu abbia bisogno di un intervento chirurgico di riduzione e sintesi. È bene, quindi, non sottovalutare il problema e rivolgersi con tempestività a un Pronto Soccorso o a uno specialista dedicato (Traumatologo o Ortopedico dedicato a Caviglia e Piede).
Il tempo può variare da 30 a 60 giorni per un recupero del carico. Per un processo di guarigione completo è spesso necessario aspettare tra i 4 ed i 6 mesi.