Meeting di Vienna: il mio incontro con Lew Schon e il confronto sul tema della protesi di caviglia

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Il meeting di questi giorni a Vienna è uno degli appuntamenti annuali a cui tengo di più. Tutto ruota intorno alla TM-Ankle: la protesi di caviglia al momento più innovativa nel panorama mondiale.

– Dr. Lew Schon, Dr.ssa Maccario: la collaborazione tra i nostri due team.

Lew Schon, il chirurgo americano che ha disegnato la TM-ankle ed io, il chirurgo in Europa con la maggior esperienza in questo tipo di protesi, ci incontriamo, confrontiamo le nostre esperienze in un pre-meeting ristretto a solo noi due e poi condividiamo le nostre esperienze con dei chirurghi selezionati per la loro esperienza in termini di artrosi di caviglia in tutta Europa.
Il confronto non si limita a delle presentazioni teoriche, ma viene completato da una sessione “Bioskills“, ossia un “cadaver lab“. È un metodo di apprendimento imprescindibile per chi si accosta ad una nuova protesi, ma è anche importante per chi esegue moltissimi interventi di questo tipo, come me. È il momento in cui, durante la mia attività di tutor di altri colleghi chirurghi, posso trovare la conferma di mie supposizioni e testare l’efficacia di nuove soluzioni.

Ma in termini pratici, quali sono le novità di questa protesi così importanti da aprire nuovi scenari?

IL DESIGN: un fixed-bearing che è un “resurfacing“.

– Tagli curvi e impianto curvo: una vera e propria nuova caviglia. – 

Storicamente le protesi si dividono in: mobile e fixbearing.
Le prime, le mobile bearing, sono protesi che hanno 3 componenti: una per sostituire la tibia, una per sostituire l’astragalo ed un “cuscinetto” di polietilene mobile per accomodare e compensare gli stress cui la caviglia è soggetta.
Le seconde, fixbearing, sono protesi costituite da due componenti: tibia ed astragalo. Il polietilene è sempre presente per una questione tribologica, ma è inglobato nella tibia senza un movimento proprio indipendente.
Il vantaggio del primo tipo di design è, chiaramente, quello di ridurre gli stress periarticolari, il vantaggio del secondo è un movimento spesso più ampio. 
Indipendentemente dal concetto di base che le ispira, le protesi prevedono l’esecuzione di tagli nell’osso per permettere l’alloggiamento della protesi in sede. Si tratta di un taglio lineare e piatto per la tibia e di una successione di tagli per l’astragalo (grossolanamente distinguiamo design a 2 o a 3 tagli astragalici).
La prima grande novità di questa protesi è, pertanto, nei tagli curvi per entrambe le superfici: tibiale e astragalica.
Anche un profano può facilmente comprendere come la Natura, nel programmare le nostre caviglie, abbia voluto regalarci delle superfici curve, piuttosto che rette e spigolose.
I tagli curvi previsti per permettere l’alloggiamento di questa nuova protesi rappresentano una rivoluzione copernicana!
Si tratta, infatti, di un design fix-bearing (quindi con un ottima escursione di movimento), che riduce gli stress cui normalmente la protesi è soggetta. Il termine resurfacing indica proprio questo: più che di un invasiva sostituzione articolare, si tratta di un “rinnovo” delle superfici articolari, dove i tagli ossei vengono ridotti al minimo.

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IL MATERIALE DELLA PROTESI: il trabecular-metal.

– Trabecular Metal: un alveare a disposizione dell’osteointegrazione. –

Questa protesi deve il proprio nome proprio a questo materiale (Trabecular Metal: TM-Ankle). Questo materiale è un frutto della ricerca e della lavorazione del Tantalio.
È porotico come il tessuto osseo. Inoltre, ha la stessa densità e la medesima risposta elastica a stimoli meccanici. In poche parole è un materiale cosi simile all’osso che persino osteoblasti ed osteociti (le cellule del tessuto osseo) lo riconoscono come tale e lo abitano.
La fissazione, pertanto, della protesi all’osso avviene per osteointegrazione diretta, senza bisogno di cemento o senza la necessità di un press-fit esasperato.
È paragonabile ad un alveare vuoto che viene popolato d’osso con il tempo ed è un processo davvero veloce!

IL POLIETILENE CROSS-LINKED

Il polietilene è un elemento necessario quasi per qualsiasi protesi: anca, ginocchio e, ovviamente caviglia.
Infatti, laddove si abbiano due superfici in movimento che scorrano l’una sull’altra, problemi di attrito e consumo devono essere ridotti al minimo.
L’accoppiamento di metallo e polietilene è una soluzione sicura ed affidabile, dimostrata negli anni.
Per esempio, nell’anca,  si è passati da interfacce di ceramica (utilizzate ancora oggi con successo) ad interfacce in metallo-polietilene e metallo-metallo (ossia interfacce costituite da entrambe i lati di metallo). Queste ultime non hanno dato i risultati sperati inducendo problemi di metallosi in tanti pazienti, legati proprio all’attrito di una superficie metallica contro l’altra.
Il polietilene cross-linked è, invece, una importante evoluzione,  che ne permette l’utilizzo in accoppiamento al metallo con ottime garanzie di durata e assolutamente senza i problemi di deposito legato all’accoppiamento di due superfici metalliche.

L’ACCESSO LATERALE

L’accesso storicamente più utilizzato per impiantare una protesi di caviglia è stato quello anteriore, sfruttando un intervallo di sicurezza tra due tendini: tibiale anteriore ed estensore lungo dell’alluce. Noi chirurghi, definiamo “intervallo di sicurezza” un area in cui possiamo “passare” senza correre il rischio di danneggiare strutture nobili, come vasi e nervi.
Il limite di questo accesso anteriore è, però, legato nella caviglia alla presenza di tendini immediatamente sotto lo strato cutaneo e sottocutaneo.
Questa è una caratteristica estremamente diversa da altre articolazioni come anca e ginocchio, dove muscoli e tendini sono “protetti” da voluminose aree di tessuto grasso. Questa peculiarità, incrementa il rischio di non guarigione della ferita rispetto ad altre articolazioni. Oltre a questo limite, l’approccio anteriore presenta una possibilità di visione e di liberazione di aderenze posteriore limitato. Banalmente: ciò che è anteriore è molto accessibile e visibile, ciò che è posteriore lo è molto poco.
L’approccio laterale, al contrario, prevede un’incisione di circa 7 cm in corrispondenza del perone.
È evidente il miglior effetto cosmetico: la cicatrice non è costantemente davanti agli occhi, come, invece, succede nell’approccio anteriore. Non è questa, tuttavia, la ragione per preferirlo.
L’approccio laterale permette infatti di essere equidistante dalle strutture nobili anteriori e posteriori, rendendo più agevole la liberazione di aderenze ad entrambe i livelli.
Inoltre, in caso si utilizzi l’approccio laterale, il perone offre una protezione naturale all’impianto. Infatti, nel caso si abbia un ritardo di guarigione della ferita, la protesi è letteralmente protetta dal perone (l’osso situato lateralmente, nella caviglia di ognuno di noi) e l’eventuale ritardo può essere gestito con grande tranquillità.

IL FRAME

Questo impianto prevede l’utilizzo di una sorta di “castello” in cui posizionare l’arto durante l’esecuzione dell’intervento.
Per il chirurgo questo rappresenta una grande novità ed un notevole aiuto.
Infatti, l’artrosi di caviglia è spesso associata ad una deformità. Il chirurgo deve sempre correggerla, se vuole raggiungere l’obiettivo di impiantare una protesi stabile nel tempo. Spesso tale procedura preparatoria risulta la parte più difficile dell’intervento.
Questo “frame” fa la differenza perché permette di stabilizzare le correzioni eseguite, permettendo al chirurgo di concentrare ogni suo sforzo ed attenzione sull’impianto della protesi, senza paura di perdere le correzioni ottenute precedentemente.

IL PROTOCOLLO POST-OPERATORIO

I materiali, il design, la tecnica chirurgica: tutte insieme concorrono a permettere al paziente un carico ed un recupero precoce.
Storicamente il paziente che affrontava l’intervento di protesi di caviglia si sottoponeva a lunghi periodi in scarico, fino a 6-8 settimane.
Questo impianto e la velocità con cui esso si osteointegra rendono possibile un carico sull’arto operato già 30 giorni dopo l’intervento di protesi alla caviglia.
Il paziente, quindi, che considera di sottoporsi all’intervento ha davanti a se solo 4 settimane di gesso o tutore in cui potrà muoversi, ma senza appoggiare il peso del corpo sull’arto operato.
Tornerà, infatti, ad un carico completo a partire dal trentesimo giorno.
Tuttavia, la pratica di attività quotidiane, come la guida, sarà concessa a 3-4 mesi.
Il tempo necessario, infine, perché il paziente sia davvero soddisfatto e torni alle sue attività sportive (meglio se a basso impatto) oscilla tra i 6 ed i 9 mesi dall’intervento.

A domanda, risposta

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