Diario di una Fellow: La metodicità di Mark Myerson

È passato molto tempo dalle mie giornate in clinica con Mark Myerson, ma riesco ancora a ricordare molto bene quanto fossi stremata al termine di quelle lunghe giornate di visite.

    Ecco i numeri:

  • 60 pazienti da visitare in una giornata (dalle 8 alle 16).
  • 6 studi a disposizione
  • 2 fellow americani
  • 2 fellow internazionali
  • 5 visitatori

Mark è un portento!
Gentile, preciso, talvolta volutamente un po’ teatrale, riusciva con un occhio sulle lastre e l’altro sui piedi dei pazienti a capire subito dove fosse il problema.
Ciò che mi ha stupito fin da subito non è stata solo la sua velocità, ma ancora di più la sua metodicità. A tutto c’era una spiegazione chiara e, di conseguenza, almeno una soluzione.

La routine di Mark Myerson

Partiamo dal principio.
I pazienti venivano accolti dal suo staff e accompagnati in uno dei vari studi, che dovevano sempre essere pieni in modo da non fargli perdere tempo. Qui un fellow si preoccupava di prendersi cura del paziente, partendo dall’anamnesi.
Nel momento in cui Mark entrava nello studio tutto doveva essere pronto: paziente svestito, lastre sullo schermo, riassunto del problema del paziente.
Una macchina perfetta che però non cadeva mai nell’errore di far sentire il paziente un numero o di farlo andare via insoddisfatto. Il paziente infatti aveva il tempo per le sue domande spesso diligentemente appuntate su un foglio di carta, così da non dimenticarne nessuna. Inoltre nel caso in cui si fosse trovato nella condizione di dover scegliere tra più di un trattamento, gli venivano forniti degli opuscoli scritti e veniva fatto accomodare in una stanza apposita per dargli il tempo, leggendo, di capire a cosa si stesse sottoponendo e di chiedere ulteriori chiarimenti.
Tutto questo era spesso indispensabile perché Mark Myerson visitava e visita, molti pazienti provenienti da varie parti d’America, la maggior parte prendendo un aereo per sentire il suo parere e, molti altri invece, dal Messico, dal Canada e talvolta dall’Europa. Si trattava quindi di persone che, vista la lontananza, dovevano tornare a casa soddisfatti e con le idee chiare.

I fellows, un importante strumento

In tutto questo bisogna però sottolineare l’importanza dei fellows. Senza il loro aiuto tutta questa organizzazione sarebbe sicuramente venuta meno. Spesso infatti erano loro ad accertarsi che il paziente avesse davvero capito e rimanevano disponibili fino all’ultimo per qualsiasi domanda. Inoltre, erano loro che si occupavano dei dettati riassuntivi alla fine della visita, uno dei compiti più ingrati!
Finite le viste, il lunedì, la giornata proseguiva e terminava con una piccola riunione dove si discutevano i casi che si sarebbero affrontati in sala operatoria durante la settimana. Anche dopo un anno intero non mi sono mai stancata di questi incontri dai quali, benché esausta, ho imparato moltissimo.
Grazie Mark!

A domanda, risposta

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