Il mondo non ha bisogno di dogmi, ma di libera ricerca.
– Bertrand Russell –

Introduzione

La deformità del piede può richiedere l’intervento di un medico quando provoca dolore e limitazioni funzionali al paziente, influenzandone la qualità della vita.

Il piede è un organo complesso a cui ciclicamente chiediamo, attraverso il passo, di ammortizzare – comportandosi come una molla – e spingere, diventando una leva rigida.

La deformità può interessare l’avampiede, il mesopiede, il retropiede o, in maniera correlata, ciascuno di questi distretti anatomici. L’importante è individuare quale fase del passo è eventualmente compromessa.

Il piede è come una marionetta, il cui movimento è guidato da fili che scendono dall’alto, i tendini, che traducono la contrazione del muscolo in movimento trasmettendo la forza contrattile del ventre muscolare all’osso su cui si inseriscono.

Quando il sistema che trasmette il movimento alla marionetta non è perfettamente funzionante, anche una o più parti di essa potrebbero non rispondere adeguatamente.

Per esempio, un filo usurato o un braccio del “bilancino” rotto (la croce in legno che trasmette il movimento ai fili) potrebbero far sì che un movimento del burattino non si compia correttamente, quando viene dato l’impulso al filo.

Uno squilibrio tra tendini è causa o conseguenza della deformità; infatti, un tendine che lavora con un allungamento eccessivo o fuori asse perde efficienza e può degenerarsi completamente.

Esistono 2 principali deformità: il piede piatto e il piede cavo.
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Il Piede Cavo Varo Supinato


Tornando alla fisiologia del passo, il cammino è rappresentato da una successione di momenti in cui un piede sano “prona” (cioè diventa piatto) per ammortizzare il peso al suolo e momenti in cui il piede “varizza” per diventare una leva rigida.

Come per il piede piatto, non sempre un piede cavo è sinonimo di patologia. Per l’atleta marciatore o per coloro che praticano sport che richiedono frequenti salti e continui cambi di direzione può rappresentare un vantaggio funzionale.

Il piede cavo varo supinato diventa patologico quando fa male o quando il paziente ha la sensazione che ceda. È una condizione per la quale il piede è sbilanciato, in termini di carico e stabilità, verso l’esterno a livello di retropiede e caviglia, verso l’interno a livello dell’avampiede.

I sintomi si manifestano, nella parte posteriore con dolore lungo un’area che include il malleolo esterno della caviglia e il retropiede (talvolta può essere percepita una sensazione di instabilità); a livello dell’avampiede, invece, con metatarsalgia (sindrome dolorosa del metatarso).

Le caratteristiche morfologiche tipiche di questa patologia sono: la “griffe” delle dita e dell’alluce, il primo metatarso plantarflesso, il calcagno varo (deviato verso l’interno).

Talvolta questa deformità è espressione di una patologia neurologica genetica, la malattia di Charcot–Marie–Tooth.

Si tratta di una patologia progressiva che inizialmente colpisce la muscolatura intrinseca del piede. All’esordio il paziente lamenta difficoltà propriocettive e di equilibrio, poi si instaurano le deformità sopra descritte associate a disfunzioni neuro-miotendinee, più importanti.

Esistono, tuttavia, forme non “pure” con evoluzione spesso lentissima o addirittura senza alcuna progressione.

Per questo è fondamentale una diagnosi medica precoce (soprattutto in casi in cui in famiglia siano presenti casi simili). Non sempre bisogna allarmarsi perché talvolta potrebbe non dare problemi per l’intero corso della vita, mentre, altre volte, può essere causa di molteplici interventi chirurgici nella vita del paziente.

Infine, un argomento a parte è rappresentato da tutti i pazienti che presentano degli esiti post-traumatici.

Spesso fratture di caviglia o di gamba (fratture biossee e non) e fratture di calcagno, trattate più o meno adeguatamente, inducono una progressiva deformità in varismo di caviglia e retropiede. Anche in questi casi è importante una valutazione ed una diagnosi precoce per pianificare un trattamento che riesca a preservare quanto più possibile articolazioni e movimento.

Un piede cavo o una caviglia instabile non curate esitano in artrosi di caviglia, indipendentemente dall’età del paziente.

Per la caviglia, infatti, artrosi non è sinonimo di paziente anziano, ma il più delle volte di paziente con una deformità, soprattutto se in varismo.

Curare deformità in varismo di retropiede e caviglia, o connessa instabilità, significa fare prevenzione sull’artrosi di caviglia.

Per aiutare i colleghi ortopedici nel percorso della diagnosi ho proposto e pubblicato sulla rivista scientifica dell’EFAS (European Foot and Ankle Society), una nuova classificazione che include criteri clinici e radiografici ed un nuovo algoritmo terapeutico delle deformità in varismo di caviglia e retropiede.

In base a questo nuovo concetto, l’astragalo (l’osso del piede che si articola prossimalmente con la caviglia e distalmente col retropiede) è al centro di un’unica entità funzionale che include caviglia e retropiede e viene destabilizzato da ogni forma di deformità in varismo, che sia presente a livello di caviglia o retropiede.

Ecco perché parlo di instabilità peritalare laterale.
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Le cause del piede cavo

Piede Cavo
Piede Cavo

Classificare il piede cavo non è sicuramente semplice. Si tratta infatti di una patologia complessa da analizzare con attenzione tenendo in considerazione le molte sfaccettature che può presentare.

Possiamo dire per aiutare chi non è del mestiere che la classificazione del piede cavo è strettamente correlata alle sue cause.
Queste che possono essere congenite o acquisite, sono varie e riunibili sotto 3 grandi branche:

  • scheletriche;
  • neurologiche;
  • post-traumatiche.

Cause scheletriche

Quando si parla di piede cavo dovuto a cause scheletriche, si parla principalmente di piede cavo forefoot-driven e hindfoot-driven.

Con “forefoot-driven” si intendono quelle deformità determinate da una defomità che nasce nell’avampiede, mentre con il termine “hindfoot-driven” si intendono le deformità in cavismo indotte da atteggiamenti patologici del retropiede, in particolare del calcagno che non è in asse.

Questa differenza apparentemente così semplice, può essere difficile da cogliere e condiziona qualsiasi scelta terapeutica successiva.

Cause neurologiche

Il piede cavo neurologico può essere congenito o acquisito e rappresenta circa il 70% dei casi di piede cavo.

Il piede cavo neurologico è conseguente a squilibri muscolari dovuti a patologie di origine neurologica: malattie eredo-familiari come la M. di Charcot-Marie-Tooth, la malattia di Friederich o la spina bifida, paralisi spastiche, ma anche lesioni midollari, spino-cerebellari e delle radici spinali.

Queste malattie portano ad una inefficiente muscolatura causa principe delle deformità ossee successive, legate ad una mancato bilanciamento muscolare tra muscoli agonisti e antagonisti.

Cause post-traumatiche

Come ci indica la parola stessa stiamo parlando di quei casi di cavismo legati a pregresse fratture. Tipicamente un piede cavo post-traumatico è legato ad una pregressa frattura di calcagno o della sottoastraglica, ma possono riguardare anche altri segment ossei.

Il processo patologico, anche qui come nel caso delle patologie neurologiche nasce da un disequilibrio. Nel caso di un piede cavo neurologico si parla di una disarmonia muscolare, nei casi post-traumatici, sono I segmenti ossei interessati dal trauma ad essere la causa di asimmetrie da cui derivano disarmonici, ma continui, consumi articolari che terminano poi nella deformità.
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La diagnosi di piede cavo

Per una corretta diagnosi è fondamentale un’accurata visita specialistica.

Il piede va studiato in carico (stando in piedi), motivo per cui per una corretta valutazione clinica ,il paziente va osservato camminare. Anche pochi passi sono sufficienti per poter formulare una diagnosi che ovviamente deve essere supportata dagli esami strumentali.

Ogni fase della visita ci dà dei piccolo pezzi per costruire il nostro puzzle finale e raggiungere le giuste conclusioni. Prima della valutazione clinica è importante l’anamnesi: la storia del paziente è fondamentale.

Un altro pezzo del puzzle è dato appunto dagli esami strumentali.

Indubbiamente l’esame a noi più utile è un esame di primo livello: una radiografia del piede e talvolta anche della caviglia in carico.

Talvolta in alcuni planning chirurgici, possono risultare necessarie particolari proiezioni,. Personalmente ritengo utile ed spesso indispensabile richiedere una proiezione radiografica, ideata dal collega Charles L. Saltzman, che si esegue in carico, da posteriore con inclinazione del raggio a 20 gradi.

Si tratta di una proiezione che permette di mettere in relazione retropiede e caviglia, molto importante nel valutare le deformità e capire quale sia la correzione più efficace formulando il corretto planning chirurgico.

Altri esami che possono essere molto utili al completamento diagnostico sono la risonanza magnetica, indicata per lo studio dei tessuti molli, e la TAC, utile per esempio per valutare la degenerazione articolare e il bone stock, ovvero la quantità di osso disponibile e necessaria per effettuare determinate procedure chirurgiche.

Nel caso di pazienti affetti da drop-foot, conseguente a concomitanti lesioni neurologiche alte (a livello della colonna vertebrale o anche dell’anca e del ginocchio), o da Carchot Marie Tooth (1 e 2), un altro esame che può essere fondamentale è l’elettromiografia che ci offre informazioni utili su quali tendini lavorano correttamente e quali no.

Infine, nei pazienti diabetici è importante valutare mediante esame del sangue la glicemia e l’emoglobina glicata, che devono essere sotto controllo per ridurre i rischi di ulcerazione locale o di insuccesso a seguito di un eventuale scelta chirurgica.
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Terapia conservativa per il piede cavo

Piede Cavo Soluzione Chirurgica
Piede Cavo Soluzione Chirurgica

Il piede piatto o il piede cavo non sintomatici non si curano, a meno che manifestino caratteristiche evolutive particolari.

Questo principio vale anche per terapie conservative, come plantari o altre ortesi.

Nei casi sintomatici il plantare può sicuramente essere valutato come una corretta opzione. Bisogna tuttavia sapere che questo non ha funzione correttiva sul piede, ma che solo quando indossato permette al piede e di conseguenza a tendini e muscoli, di lavorare in asse limitando quindi la sintomatologia.

Anche in caso di sovraccarichi plantari, il plantare può rappresentare un valido aiuto. Tuttavia altre volte viene vissuto dal paziente come un ingombro ulteriore nella calzatura e mal tollerato. Anche le terapie fisiche giungono in nostro aiuto nella prima fase, quella conservativa, del trattamento.

Terapie come la Tecarterapia, InterX e Laser, possono aiutare a ritrovare un corretto equilibrio muscolare e disinfiammare le aree sovra sollecitate.

Negli ultimi anni hanno preso sempre più piede e trovato sempre più spunti per migliorarsi, le terapie biologiche basate sulla rigenerazione biologica.

Si parla di svariate tecniche a partire dalla più conosciuta il PRP, all’utilizzo delle cellule del grasso (Lipogems), all’isolamento dei monociti dal sangue attraverso un semplice prelievo venoso.

Si tratta di tecniche molto potenti, ma strettamente correlate, nella loro percentuale di successo, all’età del paziente.
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Intervento chirurgico piede cavo

Piede Cavo Terapie Conservative
Piede Cavo Terapie Conservative

Vi sono casi tuttavia in cui le terapie conservative non sono di aiuto al paziente neanche a breve termine e altri casi, fortunatamente più rari, in cui non è possibile pensare di ottenere un successo con un approccio conservativo.

È in questi casi che interviene la chirurgia.

Anche per questa patologia l’intervento chirurgico si rende necessario a seguito di un’accurata valutazione della sintomatologia lamentata dal paziente (dolore e instabilità) e del rischio di peggioramento della deformità.

Questo è ancora più vero per il piede cavo o la caviglia vara dove esiti post-traumatici, lesioni legamentose o più raramente deficit neurologici (malattia di Charcot Marie Tooth, per esempio) possono rendere progressiva e ingravescente la patologia.

Quando possibile, si pianificano osteotomie (procedure di correzione sull’osso) e transfer tendinei (trasposizione di tendini) validi ad aiutare i tendini compromessi.

Questi trattamenti chirurgici possono essere associati anche a procedure di ricostruzione legamentose in tutti quei casi in cui siano queste ultime la causa dell’instabilità.

Tuttavia, quando le articolazioni risultano essere degenerate la priorità diventa tentare di ottenere un piede allineato e stabile. Per questo può essere necessario sacrificare il movimento di alcune articolazioni di retro e meso piede con procedure di artrodesi (fusione di articolazioni). Questo, nei casi più gravi, può essere necessario per ottenere un ritorno al passo efficiente senza sacrificare il movimento della caviglia, che risulta essere davvero molto importante per qualsiasi paziente.

Un percorso a parte meritano i pazienti affetti da deficit neurologici che impediscono il movimento di flesso/estensione della caviglia (per esempio, drop-foot: piede caduto, in Italiano).

In alcuni casi selezionati, mediante procedure di transfer tendineo è possibile ripristinare il movimento regolare di flesso estensione della caviglia. Si tratta di procedure chirurgiche che possono anche essere eseguite con chirurgia mini-invasiva, ma che richiedono un attento planning e tempi di recupero più lunghi degli altri interventi.
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Il decorso post-operatorio

Il ricovero prevede, normalmente una notte di degenza.

L’intervento viene effettuato con un’anestesia periferica in modo da addormentare completamente l’arto e da far si che il dolore venga procrastinato a quando sarà già più attenuato. È importante effettuare questa tipologia di anestesia per ridurre l’assunzione dei farmaci nel post operatorio e permettere un decorso più sereno. Il paziente può comunque chiedere di essere sedato in modo da dormire durante l’intervento stesso.

Uscito dalla sala operatoria il paziente avrà uno stivaletto gessato sul quale non sarà possibile caricare e da tenere per circa 30 giorni. L’immobilizzazione è fondamentale per la consolidazione delle procedure eseguite sull’osso e a livello tendineo.
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Il ritorno all’attività sportiva

I tempi di recupero sono sicuramente dipendenti da alcuni fattori come:

  • l’età del paziente;
  • il tipo di deformità con cui si presentava;
  • la tipologia di intervento eseguito.

Nella correzione del piede cavo che prevede generalmente osteotomie (tagli ossei) e transfer tendinei, i tempi di immobilizzazione in uno stivaletto gessato sono di circa 30 giorni. Rimosso lo stivaletto il paziente dovrà caricare sull’arto operato per aiutare l’osso nel processo di guarigione.

Il ritorno alla guida può avvenire dopo circa 6 settimane, mentre il paziente sarà completamente soddisfatto dell’intervento chirurgico dopo 3-5 mesi dall’intervento stesso.

Nei casi in cui la degenerazione articolare non ha però permesso il salvataggio delle articolazioni stesse, vincolando all’esecuzione di un’artrodesi (intervento in cui viene sacrificato il movimento di un’articolazione), i tempi di recupero possono allungarsi prevedendo la soddisfazione del paziente a 5-6 mesi dall’intervento.

Come spiegato nel capitolo della chirurgia, gli interventi di transfer tendinei nei pazienti con deficit neurologici possono richiedere tempi di rieducazione al passo più lunghi e sono da valutare caso per caso.

Per tutti i pazienti l’idrokinesiterapia (riabituarsi a camminare in un contesto protetto qual è quello garantito dall’acqua) è una tecnica riabilitativa che velocizza sensibilmente il recupero.
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L’attività di ricerca del mio team: le novità sul piede cavo

Comprendere il piede cavo come patologia è il primo obiettivo di qualsiasi trattamento e anche qualsiasi studio scientifico sul tema.

In questo senso è andato il nostro primo studio sul tema, in cui, insieme ai colleghi di Liverpool, abbiamo studiato e disegnato una nuova classificazione dell’instabilità di caviglia, correlate al piede cavo, che abbiamo pubblicato sulla rivista scientifica di chirurgia della caviglia e del piede europea (Lateral ankle and hindfoot instability: a new clinical based classification).

Il passo successivo è stato di focalizzarci completamente sul piede cavo, studiando i metodi per fare diagnosi, classificare la patologia e le diverse tipologie di trattamento possibile.

Abbiamo recentemente proposto un’analisi del piede cavo, introducendo nuovi parametri su cui basarci per fare diagnosi e pianificare il trattamento. Abbiamo, inoltre, proposto un nuovo algoritmo terapeutico, analogo a quello che il mio maestro, Mark Myerson, ha disegnato per il piede piatto.

È una sfida lunga e complessa, che speriamo getti le basi per un trattamento ancora migliore per i pazienti affetti da piede cavo nel mondo.
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A domanda, risposta

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Federico Usuelli